I concetti e le teorie sono immortali, resistono al tempo. La cosa meravigliosa di concetti e teorie è che a distanza di anni dalla loro formulazione risultano sempre molto attuali, almeno nella maggior parte dei casi. A distanza di oltre vent’anni possiamo dire che il concetto di ozio creativo ha superato la prova del tempo.

Ozio creativo: lavorare e divertirsi

Lavoro, studio e gioco: così nasce l'ozio creativo
Lavoro, studio e gioco: così nasce l’ozio creativo

Il concetto di ozio creativo è stato elaborato nel lontano 1995 dal sociologo Domenico De Masi e nonostante l’accostamento di due parole apparentemente in antitesi, non ha nulla a che fare con la pigrizia. L’ozio creativo è quella condizione in cui si trova colui che, svolgendo un lavoro di tipo intellettuale o artigianale, non solo lavora e quindi crea ricchezza, ma allo stesso tempo si diverte anche, perché l’attività gli piace. Secondo De Masi, questa condizione, che un tempo apparteneva a pochissime persone, oggi riguarda il 70% dei lavoratori. Al tempo di Marx era solo il 6%. Insomma, per usare le parole di De Masi “l’ozio creativo è l’unione di lavoro con cui produciamo ricchezza, di studio con cui produciamo sapere e di gioco con cui produciamo allegria. L’insieme di queste tre cose dà origine a quelle che possiamo chiamare ozio creativo”. Si lavora senza accorgersi di farlo.

Ozio non vuol dire pigrizia

Per i Romani l'otium era il tempo libero da dedicare alla creatività
Per i Romani l’otium era il tempo libero da dedicare alla creatività

Ma in un mercato del lavoro sempre più in crisi, dove il posto fisso è ormai un miraggio e dove la parola chiave è “flessibilità”, com’è possibile parlare ancora di ozio creativo? Secondo De Masi è proprio in questo tipo di società che il concetto sprigiona tutta la sua potenza. Nella società post-industriale in cui la creatività predomina sulla manualità, i confini tra lavoro, studio e gioco si fondono. Il lavoro è diventato molto più flessibile proprio quando è diventato prevalentemente intellettuale. “Purtroppo, con la parola lavoro indichiamo occupazioni diverse. Il minatore lavora, il giornalista lavora. Bisognerebbe utilizzare due parole diverse. Per il lavoro intellettuale si dovrebbe parlare non di lavoro ma di ozio creativo. Non a caso i Romani utilizzavano i termini otium e negotium”. L’otium infatti non era associato ad una situazione di passività bensì ad un tempo libero dalle occupazioni della vita politica e dagli affari pubblici, nel quale era possibile aprirsi alla dimensione creativa. L’opposto dei negotia, per l’appunto gli affari pubblici.

Meno lavoro, più creatività

Il presupposto dell’ozio è la serenità. Se una persona è serena, si diverte a lavorare e sta bene con coloro che lo circondano, lo spazio per l’ozio è infinito. In questo senso, l’opposto dell’ozio è la preoccupazione. Inoltre, sempre secondo il sociologo, si ozia meglio in un contesto in cui tutti sanno oziare. Il motivo è semplice: chi non sa oziare odia quelli che oziano. In conclusione il professor De Masi propone la sua ricetta dell’ozio creativo. “Bisognerebbe ridurre l’orario di lavoro a quindici ore settimanali per far diminuire la disoccupazione. Lo sosteneva in tempi non sospetti anche John Maynard Keynes. Secondo lui avremmo avuto quello che poi abbiamo davvero: i genitori si ammazzano di lavoro e i figli restano disoccupati”. Perché in fondo lavorare è facile, oziare è difficile.

Dario Mastellone

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