Gabriele ha 21 anni. È un studente universitario e (da sempre) vive a Palermo. Il suo “problema” (per la società italiana s’intende) è essere una persona transessuale. Per questo, noi di Sociologicamente, abbiamo deciso di rivolgergli qualche domanda.

Cosa puoi dirci del tuo percorso di transizione?
Fin da bambino, sebbene non mi sia mai sentito una ragazza, non ho mai voluto veramente accettarmi. Ho iniziato a vivere come me stesso da circa un anno. Non so se da solo sarei mai riuscito a maturare questa consapevolezza. Sono stato in grado di ‘dirlo a voce alta’ soltanto grazie alla mia ragazza. Stiamo insieme da tre anni, quindi mi conosce davvero molto bene. Ha percepito un cambiamento nel mio comportamento. Stavo iniziando a capire meglio quali erano le mie difficoltà ma non sapevo come affrontarle. Lei si è esposta ed io ho confessato. Nonostante tutto, mi ha offerto il suo completo supporto“.

A proposito di legami affettivi, qual è stato e qual è il tuo rapporto con la tua famiglia?
I miei genitori lo hanno saputo un po’ dopo, ovvero qualche mese fa. Ho detto loro quello che sentivo e, devo ammettere, hanno avuto una reazione migliore di quella che mi aspettavo. Mi hanno detto che mi vogliono bene, in qualunque caso. È stato faticoso spiegare loro il percorso che dovrò fare, soprattutto per quanto riguarda gli interventi di chirurgia. Si sono dimostrati preoccupati per la mia salute“.

In Italia, il cambiamento di sesso è consentito dalla Legge n. 164 del 14/04/1982. Potresti descrivermi, a grandi linee, in cosa consiste questo percorso?
Innanzitutto cambia in base alla tua decisione di essere seguito da privati o enti appartenenti alla sanità pubblica. Io, per esempio, ho iniziato il mio percorso rivolgendomi in privato ad uno psicologo, mentre adesso sarò seguito in un ospedale pubblico. In particolare, bisogna dapprima fare dei test di personalità e dei colloqui con psicologi e psichiatri, i quali servono a diagnosticare (o meno) la Disforia di Genere. Quest’ultima, secondo il DSM5, si riferisce ad una notevole sofferenza che l’individuo vive rispetto alla discordanza percepita, parziale o completa, tra il sesso biologico assegnato alla nascita e l’identità di genere. Ci sono ragazze e ragazzi che decidono di affrontare la terapia ormonale e gli interventi per la riassegnazione del sesso ma anche tanti altri che decidono di non farlo. Bisogna capire, insieme agli esperti, qual è il percorso migliore. Alla fine viene redatto un documento (nel caso di esito positivo) che convalida la terapia ormonale. Per le ragazze trans di solito si tratta di estrogeni mentre per i ragazzi trans del testosterone. Per poter aggiornare i propri documenti, la persona transessuale deve presentare un’istanza al tribunale di residenza per richiedere l’autorizzazione all’intervento chirurgico e adeguare i propri caratteri sessuali, come la mastectomia bilaterale, ovvero l’asportazione di entrambe le mammelle“.

In cosa hai riscontrato più difficoltà?
C’è molta disinformazione. Per farti un esempio: quando per la prima volta mi sono recato presso il centro in cui avrei dovuto iniziare la terapia psicologica, molti medici non sapevano nemmeno che cosa fosse la Disforia di Genere. È stato complicato trovare nella mia città un professionista in grado di aiutarmi. Conosco anche molti ragazzi che hanno avuto problemi a reperire un tipo specifico di farmaco a base di ormoni, quindi si sono dovuti adeguare assumendone un altro. Modificare improvvisamente la propria terapia non è una cosa positiva. Tra l’altro, potrebbero esserci anche delle differenze per quanto riguarda gli effetti. Il migliore è solitamente quello per iniezione, mentre il testosterone in gel, sebbene lo si debba usare con più frequenza, agisce più lentamente. Alcuni farmaci non sono ritenuti necessari dalla sanità, quindi o ne aumenta il prezzo o sono introvabili nelle farmacie, ammenoché non ci si rivolga al mercato nero. Trattandosi di farmaci non certificati, la persona è costretta ad assumersi un rischio importante“.

La transessualità è la condizione di chi si identifica in modo permanente con un genere diverso rispetto al proprio sesso biologico e che persegue l’obiettivo di cambiare il proprio corpo anche attraverso interventi medico-chirurgici: come credi vi si relazioni la società?
È una situazione che si tende molto ad ignorare. Lo vedo anche nella mia famiglia. Per di più, molte persone usano la parola ‘trans’ come se fosse un dispregiativo. Già da questo dovrebbe intuirsi quanta difficoltà ci sia ad accettare la presenza delle persone trans nella società. In molti non conoscono nemmeno la differenza tra una donna trans o, ad esempio, una drag-queen. Ho incontrato molte persone che si sono rivolte a me al femminile, nonostante io, in più occasioni, mi fossi presentato come Gabriele. È triste da dire, ma ci si abitua. Io cerco di passarci sopra, correggendoli educatamente quando posso. Se hanno delle domande da fare, io rispondo tranquillamente. Anzi, lo apprezzo, perché significa acquisire delle conoscenze“.

Se dovessi dare un consiglio spassionato a chi, come te, ha intrapreso questo percorso, cosa le/gli diresti?
Anche se tutti vorremmo una vita pacifica (penso), serve lottare. Non è un percorso facile, ma d’altro canto, non intraprenderlo è peggio. È impossibile vivere la vita di un’altra persona! Non ci si deve far scoraggiare dagli altri e soprattutto non permettere a nessuno di dirci chi siamo, perché soltanto noi possiamo farlo“.

Giulia Marra

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