Volendo analizzare la crisi delle democrazie contemporanee, e con particolare attenzione al caso della politica italiana, già Bobbio (1986) cercò di lubrificare il volano culturale-ideologico necessario al corretto funzionamento dell’apparato istituzionale e del tessuto civile, cigolanti, questi ultimi, sin dai primi anni successivi all’instaurazione del regime repubblicano ed evidenziando la loro inadeguatezza in seguito alla reazione agli impulsi sessantottini.

La cultura politica italiana: la prima disfatta

Coi temi che qui andremo ad approfondire, Pasquino ha cercato di fornire continuità a questa controversia, di trentacinque anni precedente, arricchendola con gli odierni sviluppi della nostra cultura politica. In modo neanche tanto velato, alcuni scienziati politici italiani si sono esposti, inoltre, per sollecitare gli intellettuali e la scienza politica tutta, responsabili in qualche modo di assecondare la tendenziale atrofizzazione delle elaborazioni culturali e delle prassi politiche (e non).

La disfatta non solo politica dei due grandi partiti di massa e delle rispettive subculture territoriali (le due chiese) ha lasciato un vuoto nell’intelaiatura democratica minata dalle irrisolte fratture territoriali e sociali, ottimi fertilizzanti per la conclamata ascesa dei neopopulismi (inclusivi ed esclusivi) che si radicalizzano sull’antiparlamentarismo e l’antipolitica, purtroppo cronicizzati nel nostro Paese.

“Oramai da troppo tempo mancano voci e persone di comparabile influenza. Questa carenza si è inevitabilmente riflessa in maniera negativa anche sullo stato delle culture politiche non soltanto quelle italiane. Dove possa andare un sistema politico privo di culture politiche robuste e di intellettuali politici che le rappresentino e interpretino rimane un quesito dolorosamente in cerca di risposta.” (Pasquino, 2021, p.138)

La politica italiana, un caso unico

Chiunque si sia affacciato, anche solo per timida curiosità, nel panorama politico e civile italiano ha, sicuramente, assunto la consapevolezza di quanto questo sia unico e abbia interessato scienziati politici e sociali a livello internazionale (dalle pionieristiche analisi comparate di Almond e Verba negli anni Sessanta alle suggestive trattazioni di Putnam a cavallo tra XX e XXI secolo), e forse in misura maggiore rispetto all’interesse dimostrato dagli studiosi nostrani. Un contesto particolare ma non particolareggiato. La definizione di un orizzonte, in questo panorama, è risultata/risulta un’impresa ardua e progressivamente più imperscrutabile, come il confine tra cielo e mare. Quali sono, quindi, le entità, gli attori e gli eventi che hanno complessificato le dinamiche democratiche e istituzionali, caratterizzando tutt’oggi l’Italia come un caso di studi privilegiato?

In larga misura gli elementi che, in maniera più o meno congiunta, fanno dell’Italia una peculiarità sono: lo sviluppo di un fenomeno tutto italiano (Pasquino, 2021, p.70) quale il fascismo e la presenza, debordante e squisitamente simbiotica, della Chiesa e del Partito comunista più influente di tutto l’Occidente. Azzardando un semplicistico excursus storico, da un lato, comunismo, fascismo e antifascismo hanno ciclicamente caratterizzato la prima metà del nostro Novecento – dall’avanzata del movimento operaio e dell’onda rivoluzionaria sospinta dalla rivoluzione del 1917, passando per la red fear sfociata nella Marcia su Roma prima, e nel Ventennio poi, all’antifascismo formalmente costitutivo della Repubblica italiana – dall’altro, la presenza nel suolo italico del centro materiale e spirituale della religione cristiana ha permeato/permea da ancor prima delle macerie di Roma il nostro tessuto politico-civile.

Cultura politica italiana: la DC e il PCI

Se pure la Democrazia cristiana e il Pci hanno (ri)animato gli animi e orientato gli umori dell’elettorato e delle famiglie (ivi, p.117) per i primi cinquanta anni della Repubblica, di contro, non vanno sottovalutati il fascismo, e il relativo antifascismo, per quanto hanno inciso nelle dinamiche dello stivale sin dall’epoca prerepubblicana e i cui echi sono ancora udibili nel dibattito pubblico. Le conseguenze di questi fenomeni sociopolitici e i rispettivi attori che li hanno cavalcati, possono sufficientemente giustificare la travagliata (r)esistenza democratica contemporanea ma non integralmente: un’analisi, che si voglia intendere come accurata, non può trascurare altri processi che inderogabilmente hanno scandito i ritmi del pendolo democratico alimentato dal progetto di una sostanziale applicazione dei principi costituzionali (progetto il cui compimento, come tipicamente avviene in Italia per le “Grandi opere”, è definito sine die).

Adottando uno sguardo meso-situato entrano in gioco le istituzioni, il vero centro in cui si consuma il conflitto e il dialogo democratico e, forse, le realtà più controverse del sistema-paese, in quanto tra gli “addetti ai lavori” son coloro che più mal hanno indossato l’habitus affidatogli il 2 giugno 1946 e reagito alle sfide che gli si pararono dinnanzi da quel giorno. Qui e per ora, ci interessa sostanziare quell’aggettivo [controverse] riferito alle istituzioni repubblicane, tutto fuorché inavvertitamente o inconsapevolmente attribuito. Ad esempio, controverso è stato il loro ruolo svolto negli anni di piombo, caratterizzati da un tanto tragico quanto ambiguo terrorismo politico, le cui manifestazioni, da un lato, erano direttamente orientate a minare la stabilità delle istituzioni, ma dall’altro, a queste erano parassitariamente riconducibili, evidenziando un’Italia occulta (cfr. Giuliano Turone, 2018).

«Gli “anni di piombo” si caratterizzavano, come in nessun altro paese, per la compresenza e i conflitti tra gruppi di terroristi di sinistra e di destra. Il primo gruppo aveva lanciato l’assalto allo Stato imperialista delle multinazionali (SIM); il secondo si trovava, in buona misura, dentro lo stato, nei suoi apparati, godeva di qualche sostegno esplicito e implicito, anche internazionale, ne erodeva le capacità operative, mirava a indurire lo stato, se non addirittura a sovvertirlo, aveva come obbiettivo finale il ridimensionamento della sinistra italiana e, in particolare, del Partito comunista (e della CGIL) e una transizione autoritaria» (Pasquino, 2021 p.93)

Dagli anni di piombo agli anni di fango

La macchia nelle istituzioni (di quell’habitus precedentemente richiamato) si espande e da un colorito sanguigno tramuta ad uno rosso-fango, così dagli anni di piombo si passa agli “anni di fango” (espressione cara a Montanelli, 2001): le stragi mafiose e l’inchiesta “mani pulite”. Per quanto, anche discutibilmente, le mani siano state (ri)pulite, lo stesso non si può dire delle facciate dei palazzi e del simbolo cui erano tenuti a rappresentare, ma che tristemente hanno (dis)onorato.

La desecretazione attuata dal premier Draghi nel 2021 dei documenti inerenti all’organizzazione Gladio e la loggia P2 permettono, a un tempo, di far chiarezza, parzialmente, e a un altro, apportano un’accidentata complessificazione, del passato sfortunatamente oscuro che ha caratterizzato la nostra esperienza nazionale. Apprese queste particolari vicissitudini, una pretesa condanna della mancata, se non limitata, realizzazione della polity (e quindi del progetto costituzionale) non legittima il biasimo, fine a sé stesso, di chi da quello spirito costitutivo doveva ispirarsi; lungi da un vittimismo deresponsabilizzante, la nostra società e il suo scudo liberale ha dovuto/deve fare i conti con eventi tanto poco auspicabili quanto, con buona probabilità, difficilmente fronteggiati da un qualsiasi altro stato. Detto ciò, risulta importante delineare gli effetti di questi eventi e le fratture socioterritoriali generatesi, la loro politicizzazione, interpretazione e la radicalizzazione, forse la dimensione più influente, all’interno di una più generale cultura politica italiana.

Le (Sub)Culture della politica italiana

“In termini impietosi veniamo posti di fronte ai limiti della nostra cultura politica: siamo il popolo che è meno soddisfatto della propria vita e, come abbiamo visto, del funzionamento della democrazia; e tutto questo, vale la pena sottolinearlo, emerge dai dati raccolti prima del 1988” (ivi, p.25)

 (Cartocci, 1994)

Prima di definire i contenuti ideologici/ideali, animanti e caratterizzanti la democrazia italiana, e gli attori – imprenditori culturali annessi – che ne hanno interpretato la dialettica e i conflitti, è necessario, in questa sede almeno richiamare, i termini entro cui il “pluralismo polarizzato” si è sviluppato.

Per poter approfondire adeguatamente questi aspetti ci è indispensabile considerare il ruolo socializzante svolto dalle istituzioni, strettamente legato con il senso civico instauratosi, e differenziatosi, a partire dall’esperienza comunale e repubblicana nel Centro-Nord, dalle dominazioni straniere e dagli stati regionali pre-risorgimentali che hanno diversamente amministrato la Penisola per svariati secoli. Ancora, imprescindibile risulta l’analisi, delle subculture politiche territoriali e la loro influenza nella costruzione delle rispettive identità, degli orientamenti di voto (la piaga del voto di scambio e clientelare), il divario che su più fronti intacca la frattura tra Sud e Nord Italia, e le forme assunte dal capitale sociale con il particolarismo familista, il localismo ecc. (Cartocci, 1994)

Cultura politica italiana: il pluralismo polarizzato

A riguardo, è offerta da Cartocci (ibidem) e Almagisti (2016) una corposa argomentazione dedicata a descrivere la democratizzazione, osservandone la necessità, del capitale sociale coagulato attorno alle subculture bianca e rossa e ai movimenti sociali e aggregativi. Al centro della loro trattazione vengono poste le dimensioni dell’identità – individuale così come nazionale – e i modi coi quali essa si determina e si percepisce (“il sentirsi parte”), quindi la dimensione della cittadinanza, e l’intreccio di queste con la «grande trasformazione» degli assetti politico-economici, emancipatisi dalla crisalide pazientemente costruita dal secondo dopoguerra.

“Il dato di fondo e di lungo periodo è costituito da una diffusa insoddisfazione nei riguardi della politica e del funzionamento delle istituzioni nazionali, soprattutto del parlamento e dei partiti, non solo i partiti degli altri, ma anche quello che gli elettori sceglievano di volta in volta in mancanza di meglio.” (Pasquino, 2021, p.143)

L’assassinio di Moro e la caduta del muro di Berlino

Nell’Italia repubblicana i partiti erano i principali interpreti nell’orizzontare queste dimensioni, circoscrivendole in un tanto relativo quanto fragile equilibrio; non una meta, quest’ultimo, piuttosto un tracciato dal quale partire e sicuramente non da abbandonare alla comparsa delle nuove e impetuose sfide presentatesi dinnanzi alla democrazia tutta. Con ciò, questo fragile equilibrio era tale, sia per le nuove difficoltà che l’assetto democratico ha dovuto affrontare – tra gli anni Settanta e Ottanta l’avanzata neoliberista, l’assassinio di Aldo Moro e il conseguente declino dello spirito del compromesso storico e dell’alternativa, la caduta del muro di Berlino (“la cartina tornasole della scomparsa delle (sub)culture politiche dell’Italia repubblicana”, ivi, p.111, corsivo mio) – sia per il peso, gravato sulle esili chiavi di volta dell’archite(tta)ttura nazionale (richiamando la celebre frase di Massimo d’Azzeglio), ed esercitato dall’ antiparlamentarismo e dall’antipolitica, felicemente convogliati nell’ormai consolidato populismo italian style (ivi, p.145).

Quest’ultimo è, a ragione, il tema su cui, da circa trenta anni, gli studi si focalizzano richiamando fenomeni quali la personalizzazione politica e dei partiti, gli effetti di una nuova società dataficata e iper-informata e della conseguente disintermediazione da parte delle istituzioni, richiamando quelle tendenze aggregative e atomizzanti, imperanti dallo scettro globalizzante e globalizzato. In particolare, nel caso del nostro Paese molti studiosi rimandano la fatica che la politica nostrana attraversa dalla nascita della “Seconda Repubblica”, ad una confusione culturale ed istituzionale, accentuata anche dall’incompetenza degli eredi dei due grandi partiti di massa nazionali.

Il neopopulismo nella politica italiana

Il neopopulismo (agghindato dai suoi inscindibili -ismi, come sovranismo, nazionalismo ecc.) rappresenta l’imbuto attraverso cui convoglia l’excursus finora tratteggiato, il cui infuso ben si attaglia alla società liquida, così definita da Bauman e richiamata da Pasquino. Ora il nostro compito sta nel definire le forme del contenitore in cui questa società è immersa e di cui ne assume inevitabilmente la forma: una società appunto contenuta e non contenente, impossibilitata ad autodefinirsi nel divenire del suo flusso – più che panta rhei una società stagnante, niente scorre.

“Le prassi sembrano precedere le elaborazioni culturali (e politiche) senza le quali, tuttavia, il loro respiro è inevitabilmente molto corto.” (ivi, p.192)

Nel nostro lungometraggio in scala decrescente (dai macrofenomeni che hanno cullato la repubblica, a quelli più contingenti e particolari in cui questa ha mosso i suoi primi piccoli e accidentati passi), la dimensione temporale pare abbia assunto un ruolo secondario, se non caricaturale: il tempo e il suo scorrere percepiti meramente come conditio sine qua non la spazialità non possa evolversi.

La temporalità è (stata) costantemente ristretta nel ricordo, costretta al contingente e raramente stretta dal possibile; questa è la prospettiva di una nazione che non ha fatto i conti con le radici del passato, tirato le somme del presente e indagato i limiti del futuro. Di qui è necessaria la consapevolezza della dialettica che lega lo spazio e il materiale con il tempo e l’ideale: più indefinito sarà il nostro orizzonte più lo sarà il tempo per raggiungerlo.

Il profilo ideologico della politica italiana

“C'è qui un paradosso delle nuove ideologie che costituisce il loro tarlo essenziale. Esse non si riescono a districare dalla tensione tra particolare e universale. […] Visioni della vita frammentarie assumono l'aspetto della globalità e l'esigenza di ottenere l'accreditamento sociale induce a presentarle come universali, cioè valide per ogni uomo. Se le nuove ideologie sono quelle che si sottraggono al dibattito pubblico e ad ogni istanza di revisione, allora questa difesa del pluralismo diventerà una difesa del pensiero ideologico” (Viola, 1996, p. 23-26)

Come abbiamo visto l’energia e la nuova linfa iniettate dall’impulso repubblicano hanno progressivamente perso potenza e sostegno, e con loro le elaborazioni ideologiche da (e con) cui traevano legittimazione. L’ambizione, tutta ideologica, della ricerca della verità (ibidem) colma la necessità socialmente condivisa di interpretare il reale e fornire un senso all’esistenza; se non il sale della democrazia, le ideologie contribuiscono ad insaporirne il succo. Sapersi orientare, di fatto, presuppone l’acquisizione delle coordinate indispensabili per significare il tempo e percepire lo spazio, precedentemente richiamati, e attraverso questi agire secondo gli stessi significati conflittualmente condivisi e negoziati.

È chiaro, quindi, il rapporto di proporzionalità diretta e reciproca tra ideologia e prassi (politica e non solo); come ricordava Pasquino, queste devono essere insieme motivate e motivanti l’una rispetto all’altra. Questo rapporto, tuttavia, non equivale ad una autoreferenziale soppressione del conflitto e della sua potenziale spirale innovatrice ed integratrice, tipica del pluralismo democratico: sottrarsi a questo conflitto alimenta, di contro, una spirale diametralmente opposta (anche nei suoi effetti), la spirale del silenzio.

Innesti col capitalismo avanzato nella politica italiana

Da non dimenticare è l’importanza del regolare queste dinamiche e la stessa volontà di voler regolarle; a ragione, abbiamo più volte sottolineato la miopia delle istituzioni e dei partiti nell’esercitare questo ruolo. Il mediatore è sempre più il mercato e la finanza, non più al servizio della politica e della società civile per il raggiungimento e il soddisfacimento del bene e dei bisogni collettivi; è ora il capitalismo avanzato a decretare i mezzi e i fini della politica e della cittadinanza, servendosene per reclamare i propri obbiettivi.

Nel profilo ideologico delineato da Pasquino, sulle orme di Bobbio, ad esser pronunciato è il peso esercitato dal mercato globale, tanto che il suo laissez faire ha permeato sotto ogni punto di vista l’elaborazione culturale e ideologica, evidenziando come l’autoregolarsi sia un non-regolarsi: la nostra sfida sta nel verificare se le ideologie siano effettivamente frammentate – preferisco usare il termine “disorientate” per evitare che il considerarle meramente frammentate determini una non-argomentazione – o se, invece, pecchino di una sovradeterminazione unilateralmente influenzata dalla logica accumulativa.

Davide Agus

Riferimenti

Print Friendly, PDF & Email