Probabilmente sono i due termini che abbiamo sentito citare maggiormente negli ultimi anni. Eppure democrazia e populismo sono due lati della stessa medaglia. Da una parte la sovranità del popolo, dall’altra l’esaltazione demagogica dello stesso in contrapposizione alle élite. Questi sono infatti i temi centrali della ricerca politologica e sociale odierna. Si è scritto molto intorno a questi e moltissimi autori e studiosi stanno tuttora analizzando il loro rapporto. Il panorama del populismo infatti è ancora in continua trasformazione e presenta continuamente nuovi casi. Ma cosa vuol dire populista? Cos’è il populismo e come nasce? Si tratta di un’anomalia e quindi rischio per la democrazia o invece è una nuova forma di sovranità?
Una difficile definizione
Dobbiamo dire che il concetto di populismo è difficilmente definibile. La sua determinazione è, al contrario, temporaneamente e culturalmente variabile. Ci sono diversi populismi sia nello spazio che nel tempo che rendono questo concetto abbastanza “scivoloso” per gli studiosi, sia per la sua polisemia sia per l’ambiguità. Esiste il populismo americano, quello di Trump, latinoamericano, russo e ovviamente anche italiano. Anche se diversi, tutti hanno però delle caratteristiche comuni, seppur parziali rispetto alla complessità totale del problema, ovvero quello di concepire l’esistenza di due unita di soggetti omogenei: il popolo interclassista, detentore della sovranità a cui solitamente è collegato un leader carismatico, e le élite. Queste entità sono tra di loro in contrapposizione e se alla prima sono assegnati valori positivi, la seconda è responsabile della decadenza politica e sociale del sistema. Questi elementi li ritroviamo facilmente nel dibattito politico di oggi, nei giornali, nelle tv, sui social. Quante volte abbiamo sentito parlare di “casta di politici”, “dell’élite, “dei ricchi”, “dei politici”, “dei privilegiati“ corrotti e cattivi, contro “il popolo”, “i cittadini”, “gli italiani”? Ma è realmente cosi o è solo un strategia per creare consenso?
Come nasce il populismo?
Il populismo in realtà è un più ampio processo sociale e per capirlo meglio bisogna partire dall’inizio, ovvero da come nasce. Oltre a delle caratteristiche comuni, i diversi populismi hanno delle dinamiche sociali comuni che contraddistinguono la loro genesi e la loro istituzionalizzazione. La prima è una reale polarizzazione strutturale all’interno della società. Si crea una frattura, non solo retorica ma socio-economica, interna alla società. Come sta accadendo nell’attuale contesto, alla radice del populismo c’è una allargamento delle differenze interno alle classi sociali, tra quella alta e basse con una drastica riduzione della classe media. Il tutto si trasforma ovviamente in una contrapposizione politica. Con questa avviene anche una disintermediazione politica sia di quantità che di qualità tra i cittadini, contesti locali e periferici, abbandonati a loro stessi e la dimensione politica centrale e nazionale del paese. Molti soggetti che quindi versano in un condizione di scontento o addirittura di diffidenza e indifferenza verso la politica trovano nel messaggio populista, immediato e semplice, una nuova alternativa e una nuova speranza di cambiamento, di riappropriazione della propria sovranità e dei propri diritti. La recente crisi finanziaria poi economica, la crisi dei partiti, le diverse crisi di governo in Italia non hanno fatto che da catalizzatore a tutto questo processo. Secondo alcuni autori come Ingleart, invece, dal punto di vista culturale “il populismo sarebbe una reazione da parte di quella parte della popolazione che vede nei valori del politicamente corretto, del multiculturalismo e della tolleranza una minaccia e auspica ad una semplificazione del mondo e al ritorno dei valori tradizionali e del nazionalismo“.
Neopopulismo italiano
Il caso italiano rappresenta un caso particolare di populismo per via del fatto che il nostro contesto nazionale rappresenta un’arena dove si scontrano e si sono scontrati diversi populismi e fasi anti-politica nel tempo, con diversi toni e stili. A segnare un passaggio importante in questo senso è stato il passaggio dalla Prima alla Seconda repubblica nel 1993. Con gli scandali di “Tangentopoli” e l’inchiesta di “Mani Pulite” si è passati da una società fortemente dominata e mediata dai partiti, da organizzazioni politiche molto radicate nel territorio ad una nuova mentalità antipolitica e dalla ricerca di nuove forme di legittimazione. Ci fu dapprima una forte fiducia rivolta verso i magistrati, come ricorda l’esperienza politica del PM Di Pietro, considerati meno corruttibili e più affidabili dei politici. Successivamente con l’entrata in scena di Silvio Berlusconi e di altri imprenditori abbiamo avuto una forma definita di tele-populismo, definita cosi per via dell’uso massiccio di mass media. Una fase in cui gli elettori speravano che questi professionisti avrebbero fatto funzionare il Paese in modo migliore, proprio come un’azienda. Per passare in ultimo al caso del web populismo del M5S. Partito da un blog online con un richiamo costante all’anti-establishment, mirava ad un passaggio alla democrazia diretta tramite votazioni e discussioni online (progetto spesso contraddicente e gradualmente abbandonato). E ancora c’è il populismo della Lega, quello di Di Battista, della Meloni, per alcuni addirittura è possibile far rientrare in questa categoria anche l’esperienza renziana della “Rottamazione dei vecchi esponenti del partito” in occasione delle primarie del 2013. Tutti populismi, tutti differenti per stile e contenuti. Una tale diffusione forse è da ricondurre alla facilità nel creare consenso del messaggio in un periodo storico come questo caratterizzato da forte incertezza politica.
Patologia o nuova democrazia?
Ma arriviamo al punto. Possiamo dire che il populismo si manifesti a partire da una situazione di crisi del sistema politico, una situazione in cui la classe politica non riesce a capire le esigenze dei cittadini, i quali si sentono distanti dalle istituzioni e si viene a creare appunto una forte polarizzazione tra politica e società. La sua azione però non sempre è quella di ripristino della sovranità popolare. C’è il rischio di una deriva autocratica. Perché l’esaltazione del popolo e della democrazia diretta potrebbe invece tradursi in una forma di potere eccessivamente centralizzate ed in balia del leader. L’esempio più importante è l’esperienza venezuelana con Chavez finita pressoché in un regime. Ciò porterebbe all’esclusione di molte parti politiche, minoranze e un indebolimento dello stato di diritto, tutto retoricamente fatto in nome del popolo ma mettendo a rischio, in realtà, i presupposti democratici. In democrazia nessuna carica è superiore alle leggi (stabilite in modo democratico) e il potere è mediato e bilanciato dalle istituzioni. Questo è ciò a cui dobbiamo stare molto attenti in questo momento in Italia: bisogna stare attenti a chi gioca con la percezione degli elettori, chi gioca con le notizie, chi accentra tutto su sé stesso. Le esperienze passate ci insegnano inoltre che in fondo più che di “anti-politica” abbiamo bisogno di una classe di politici seri, preparati, competenti e capaci. Soprattutto nei momenti difficili.
Valerio Adolini