Siamo soltanto alla metà del 2017 ma già abbiamo la certezza dell’inversione di tendenza apparentemente in atto rispetto all’anno passato, segnato dalla tanto clamorosa quanto inattesa deflagrazione del populismo sancita dalla Brexit e dall’istrionica presidenza Trump.
Lo scenario politico in Occidente
In verità, non pochi segnali inducono a riflettere più cautamente: in Austria, la vittoria di Van der Bellen sul partito di destra di Hofer è stata decisamente risicata; con la bocciatura del referendum costituzionale italiano si è aperta una fase d’instabilità per la terza economia della zona euro e una parte consistente degli elettori di Macron hanno sostenuto il nuovo movimento francese con un voto che non nasceva tanto da un’adesione appassionata al suo programma, ma in realtà solamente dalla repulsione per Marine Le Pen. Lo scenario è infine completato da quella maggioranza silenziosa in costante crescita e i cui sentimenti di rancore verso lo status quo e di angoscia sono assai imprevedibili, e probabilmente è alla mobilitazione di questa platea che si debbono imputare gli esiti del referendum britannico e delle elezioni presidenziali americane.
Esperti marinai
Tutto ciò rivela che lo scenario politico naviga ancora in acque agitate e che la tempesta dalla quale i populisti di tutto il mondo hanno tratto la loro linfa vitale è lungi dall’essere placata. Un contributo rilevante proviene dalla crisi in cui da parecchi anni versa la società della conoscenza. I populisti, al pari di ogni entità politica, sono portati a divulgare la propria interpretazione, che in quanto tale, non sarà mai neutrale. Ciò che gioca a loro vantaggio non è tanto la vasta gamma di mezzi ai quali attingono per competere nell’agone politico, ma semmai la progressiva decadenza dei mass media ufficiali, ossia quelli consolidati e tradizionali, che noi tutti conosciamo. È proprio la crisi d’identità del sistema che genera una delegittimazione di televisioni e giornali affermati, la quale favorirà nettamentenel futuro prossimo i canali informativi di chi, come i populisti, si pone in antitesi rispetto allo status quo e invoca almeno a parole grandi cambiamenti.
Populismo e immigrazione
Il populismo continuerà inoltre ad avere nell’immigrazione uno dei suoi alleati più fedeli. Flussi migratori consistenti, destabilizzanti e protratti nel tempo alimentano sentimenti di paura e di ansia in una parte cospicua della popolazione, se non nella sua maggioranza; e se peraltro si volgono verso società tutt’altro che in espansione, è innegabile il rischio di tensioni che già si fanno più acute. Anche l’immigrazione, indipendentemente dalle congiunture belliche, è un fenomeno strutturale: la rarefazione delle risorse naturali causata da attività umane spregiudicate, che cinicamente si riflette soprattutto proprio su quei popoli poveri che non ne traggono alcun beneficio, non potrà che spingere verso il Nord del mondo profughi sempre più numerosi.
Dal momento che l’immigrazione è in molti casi uno dei cavalli di battaglia dei partiti populisti (o movimenti, o fronti, chiamiamoli come vogliamo), la sua crescente visibilità, unita alla sua cattiva gestione e alla mancanza di un’effettiva integrazione degli stranieri in un sistema che offre loro scarne possibilità, faranno confluire ampi voti in formazioni contrarie all’accoglienza di stranieri. È bene sottolineare che non esiste alcuno scontro di civiltà, bensì una vile guerra tra poveri, gli uni aizzati contro gli altri.
Una causa globale
All’origine dei conflitti sociali odierni sta infatti proprio la globalizzazione. Lo sviluppo tecnologico degli ultimi decenni, che ha reso possibile la libera circolazione di merci, uomini e capitali, ha dilatato a dismisura le possibilità delle grandi concentrazioni economiche, ma a detrimento di milioni di lavoratori occidentali che si sono trovati progressivamente in concorrenza con lavoratori di altri paesi dalle tutele e dai salari molto più bassi. La globalizzazione, accompagnata dalle politiche economiche neoliberiste, ha costantemente eroso le risorse dello Stato, che ovunque deve far fronte ad una crisi fiscale trovandosi costretto a ridimensionare la spesa pubblica. La compressione dei salari, la decrepita sicurezza sociale e la perdita di numerose tutele del lavoro una volta date per scontate hanno allargato la forbice tra ricchi e poveri, con la classe media che vede assottigliarsi la sua consistenza.
Un modello non sostenibile

Lo stesso modello di sviluppo fino ad oggi adottato unanimemente da tutte le nazioni è messo in discussione, e le dinamiche in atto creano disuguaglianze sociali incompatibili con la stessa democrazia. Il populismo non potrà che accrescere il suo successo di fronte a un malcontento e a un malessere sociale dai risvolti potenzialmente fatali. Anziché considerare semplicemente i risultati elettorali più recenti e dare per declinanti i partiti populisti, è doveroso prendere veramente atto delle dinamiche intrinseche a questo sistema per comprendere che il regime economico vigente non è più sostenibile. Altrimenti si resterà soltanto sbigottiti da risultati quali la Brexit e Trump, senza coglierne le ragioni profonde.
Stefano Ghilardi