Uno dei fenomeni della cultura di massa e mediatica che ha attirato maggiormente l’interesse degli spettatori e l’attenzione della ricerca del campo è quello riguardante i reality show. Ciò che desta successivi interessi in certi casi è il rapporto che questa tipologia di intrattenimento può avere con le altre, come ad esempio, il rapporto tra reality show e sport.

I Reality show

Questa tipologia di programma, sin dalla sua ampia diffusione dopo il successo di capostipiti del genere come “The Real World” e le edizioni prime de “The Big Brother”, è diventata una delle forme di intrattenimento più amate nei paesi del globo, tanto che le personalità uscite da programmi come “Il Grande Fratello”, “The Jersey Shore” e “Keeping with The Kardashians” sono volti molto noti della cultura mediatica contemporanea.

Questo ovviamente non è stato spesso ben accolto dagli organi educativi dei paesi dove questi programmi sono diventati delle hit, a causa del contenuto spesso diseducativo e sensazionalistico, con il messaggio di fondo spesso interpretabile sull’importanza estrema dell’apparire ed essere famoso a prescindere dai meriti (Jehangir, 2022). 

Reality show e sport

Come è capitato frequentemente nella storia della cultura mediatica, l’industria televisiva spesso ha prodotto programmi che sono stati visti negativamente dai critici ma accolti e accettati dagli spettatori tanto che questi sono diventati per un determinato periodo l’intrattenimento principale delle reti televisive (Berman, 2022).

Questo mezzo d’intrattenimento, sebbene con contenuti spesso controversi, è stato una piattaforma anche di discussione di tabù sociali e di argomenti non affrontati dai media, come l’Aids nelle prime stagioni di “The Real World” (Lambe‍, 2008), oltre che un veicolo per l’ascesa all’accettazione sociale generale, come il caso della UFC e delle MMA americane grazie a “The Ultimate Fighter” (Rothstein, 2020).

Reality show e sport: il difficile rapporto iniziale da parte della società americana 

Lo sport delle Arti Marziali Miste, ovvero una disciplina di combattimento dove i lottatori combattono utilizzando varie tecniche, colpi e sottomissioni provenienti dalle varie arti marziali orientali e occidentali (Flinn, 2016), ha una storia complessa e travagliata, sia per quando riguarda la sua nascita ufficiale, spesso associata all’incontro fra il pugile Muhammad Alì ed il wrestler Antonio Inoki (Bull, 2009), sia per la sua accettazione come attività sportiva a tutto tondo, avendo come esempio concreto l’aspra campagna che John McCain, all’epoca Senatore dell’Arizona, fece contro l’UFC, la federazione americana maggiormente conosciuta di questa attività sportiva, arrivando a paragonarla ad una lotta barbara simile a quella dei gladiatori nell’Antica Roma e ad una lotta di galli da combattimento fatta da esseri umani (Marocco, 2018).   

Questa campagna ha portato all’ostracizzazione delle No Holds Barred, termine con le quali le arti marziali miste sono state conosciute prima della loro regolamentazione commissionata e ad un periodo di difficoltà per l’UFC, finendo per essere vietata in 50 stati americani (Hill, 2013).

L’avversione sociale nei confronti delle MMA Fighter        

Nella società civile moderna, gli sport di combattimento sono soggetti ad uno scrutinio strenuo perenne, vista la loro pericolosità, le conseguenze sulla qualità della vita che portano gli infortuni legati ad esso e l’esempio negativo percepito che gli atleti possono dare ai ragazzini in fascia protetta ed evolutiva (Gauthier, 2009).

Le arti marziali miste della UFC, come discusso prima, sin dalla loro prima strutturazione storica come no holds barred fighting negli anni novanta, ovvero una tipologia di lotta dove le regole sono minime, seguendo la vena del Vale Tudo brasiliano (Davies, 2021), sono state sottoposte alla ostracizzazione sociale, poiché elementi come la gabbia ottagonale adibita ad ambiente delle gare ed il livello di violenza mostrato sono fattori considerati essere stati troppo fuorvianti dalle regole della società civile (Sarre, 2015).

Per evitare che la disciplina finisse direttamente ad essere vietata, sono state introdotte delle regole più ferree affinché le MMA risultassero più facile da amministrare per le commissioni atletiche ed avessero una etica sportiva (Browning, Veit, 2021), facendo così finire la fase No Holds Barred ed iniziando ad avere i combattimenti legati ad una strutturazione più disciplinata e socialmente accettabile, arrivata con la prima stagione de “The Ultimate Fighter”.

La prima stagione di “The Ultimate Fighter” e i fondamenti della accettazione sociale delle MMA in America

Nel 2005 debutta il programma “The Ultimate Fighter”, un format dove sedici lottatori, sei pesi massimi leggeri e sei pesi medi, vivono sotto uno stesso tetto e si allenano divisi in due squadre, capitanate rispettivamente da due noti campioni della disciplina come Chuck Liddell e Randy Couture.

Il format segue la struttura tipica dei reality show dell’epoca, dove i partecipanti sono sempre seguiti dalle telecamere e sono eliminati ogni settimana, fino ai quattro finalisti che si affronteranno in un incontro, dove il vincitore avrà un contratto con la federazione.

Il programma diventa un successo enorme, con la finale dei pesi massimi leggeri fra Stephen Bonnar e Forrest Griffin considerata oggi come uno degli incontri più importanti della storia della disciplina, essendo questo reputato come quell’incontro che ha aiutato l’UFC ad evitare il tracollo e a portare le arti marziali miste nel panorama mediatico a larga diffusione americano (Martin, 2015). Da questa prima edizione in poi il programma è diventato un elemento chiave della federazione americana, diventato fucina di nomi noti e talenti come Diego Sanchez, Chris Lieber, Matt Serra, Rashad Evans, Ryan Bader e soprattutto uno degli esempi primari di come il format dei reality show non solo ha aiutato a modificare la percezione sociale di un’attività sportiva ma ne è diventato direttamente uno dei canali di diffusione e di struttura principali (Giles, 2023).  

Giovanni Carlo Bruni

Bibliografia 

Jaehnig. J. Is reality TV really all that bad? The short answer is yes. The Michigan Daily, 2022;

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