Peter Ludwig Berger nasce a Vienna il 17 marzo del 1929 ed è venuto a mancare lo scorso 27 giugno a Brookline. È stato un sociologo e teologo austriaco noto principalmente per aver scritto un saggio a quattro mani, come coautore insieme a Thomas Luckmann, “La realtà come costruzione sociale”. Il fascino di questa opera è racchiuso in una trama fatta di rimandi culturali che rievocano e al tempo stesso reinterpretano il pensiero dei maggiori sociologi come Marx, Durkheim, Weber e G.H. Mead.

La realtà come costruzione sociale

La realtà come costruzione sociale, edizione originale
La realtà come costruzione sociale, edizione originale

Come rileva Berger, nessuno può dubitare che le “visioni del mondo” costruite dai filosofi, dai romanzieri, siano prodotti intellettuali che si sovrappongono alla realtà e la interpretano in maniera più o meno verosimile. Quando però si analizza la visione del mondo legata all’esperienza di un gruppo sociale o di una società e che, essendo accettata da gran parte dei membri, definisce il cosiddetto “senso comune”, c’è il rischio che questa conoscenza della realtà, per il suo carattere realistico sia assunta anche dai sociologi come un dato poco interessante o comunque non tale da mobilitare un’attenzione specifica. Nessun sociologo, prima di Berger e Luckmann, ha mai assunto il senso comune come oggetto privilegiato di riflessione filosofica e scientifica. Per quest’aspetto, il libro non è solo innovativo ma unico. La tesi centrale di Berger e Luckmann è che la realtà, ossia l’insieme dei fenomeni che sono riconosciuti come indipendenti dalla propria volontà, è costruita socialmente, tale che in ogni società sono diffuse rappresentazioni della realtà condivise e date per scontate dai suoi membri.

Il costruzionismo

L’analisi dei processi attraverso cui questo avviene, costituisce il campo di studio della sociologia della cultura. Dire che la realtà è una costruzione sociale non vuol dire che ciascuno la immagina a suo piacimento: la costruzione è sociale, cioè prodotta collettivamente, e trae la sua forza proprio dalla condivisione. Secondo l’approccio fenomenologico, la realtà sociale è il prodotto dell’interazione dialettica tra individuo e società. La società è il prodotto dell’attività umana, non esiste senza l’uomo. L’uomo acquisisce la propria identità all’interno della società, senza la quale dunque non può esistere.

La società come realtà oggettiva

La costruzione sociale della realtà, che confluisce nel senso comune, vale a dire in una visione del mondo tipica (ideologica) cui ogni soggetto, in un determinato contesto storico-culturale, aderisce con la convinzione che essa sia il prodotto della propria personale esperienza, avviene fondamentalmente sulla base di tre momenti costitutivi della vita sociale: l’esteriorizzazione, l’oggettivazione e l’interiorizzazione.

L’esteriorizzazione è quel momento del processo dialettico di costruzione sociale della realtà in cui i soggetti costruiscono il proprio mondo sociale attraverso le proprie azioni. L’ordine sociale è in tal senso un prodotto dell’uomo: sono i soggetti che creano nuove realtà sociali (es. amicizia/attività economica).

L’oggettivazione è il processo attraverso cui la vita quotidiana viene percepita come realtà ordinata, che va oltre i soggetti ed è apparentemente autonoma da essi. La società in tal senso ha conseguenze sull’individuo poiché “retroagisce” sul suo creatore.

Infine con l’interiorizzazione, l’uomo è un prodotto sociale. L’interiorizzazione per Berger corrisponde a ciò che Parsons definisce socializzazione: “Gli individui fanno propria la realtà sociale oggettivata” e interiorizzano norme e valori sociali.

Reificazione e produzione

Il processo può interrompersi attraverso la reificazione, vale a dire la percezione di fenomeni umani come se fossero cose; può definirsi il grado estremo nel processo di oggettivazione, per cui il mondo oggettivato perde la sua capacità di essere visto come creazione umana per diventare fattualità non umana. L’uomo, produttore del mondo, è visto come suo prodotto, e l’attività umana come epifenomeno di processi non umani. Il dato di partenza è che l’uomo, pur essendo dotato di un’esperienza interiore e di un senso d’identità personale, vive all’interno di una struttura sociale e in un sistema d’interazione continua con gli altri.

Questa condizione esistenziale postula che la propria esperienza possa essere comunicata e condivisa con gli altri in virtù di una rete di significati comuni. Questa condivisione avviene attraverso i segni linguistici appartenenti a una struttura che rappresenta un potente esempio di oggettivazione: “In quanto sistema di segni, il linguaggio possiede la qualità dell’oggettività”. Gli individui sperimentano il linguaggio come una attualità esterna a se stessi, li costringe nei suoi modelli segnando le coordinate della vita all’interno della società. Il linguaggio ha origine nella vita quotidiana, e a questa prima di tutto fa riferimento; il linguaggio è capace di trascendere del tutto la realtà della vita quotidiana in quanto può riferirsi ad esperienze che appartengono a sfere circoscritte di significato, e può abbracciare sfere separate di realtà.

È su questa base che un prodotto storico finisce con l’agire sul produttore e configurarsi ai suoi occhi come una dimensione oggettiva, che lo trascende.

Emanuela Ferrara

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