Da pochi giorni è scaduto il termine per la presentazione delle domande di partecipazione al SCN, il Servizio Civile Nazionale. Ogni anno enti locali, ma anche varie associazioni, su tutto il territorio nazionale, bandiscono un concorso per tutti coloro che vogliono provare un’esperienza nel campo sociale, o meglio, “del sociale”. Si tratta di reclutare giovani con una forte propensione verso, appunto, l’ambito sociale, per dar loro modo non solo di lavorare per un anno ma di capire quanto questi progetti possano aiutare la società e soprattutto le categorie deboli a “rialzarsi”. Forse usare questa espressione non è corretto, eticamente non lo è affatto, però, considerando come talvolta l’ambito in questione è sottovalutato, attraverso queste iniziative si dà molta visibilità a situazioni che altrimenti rischiano di essere poco considerate. I progetti che vengono strutturati riguardano prevalentemente le categorie deboli, disabili e anziani, ma si strutturano anche per bambini e, negli ultimi tempi, per gli stranieri. Si parla quindi per lo più di integrazione sociale, socializzazione, abbattimento di pregiudizi riguardanti determinati soggetti. I campi d’interesse sono davvero tanti. Ma come nasce questo servizio?

Un po’ di storia

Il servizio civile nazionale venne introdotto nell’ordinamento italiano con la legge 15 dicembre 1972, n. 772 di cui fu relatore il senatore Giovanni Marcora. All’inizio fu pensato come alternativa al servizio militare di leva in Italia e riservato esclusivamente per coloro che si fossero dichiarati obiettori di coscienza. Questi ultimi erano coloro che rifiutavano l’uso delle armi e quindi si rifiutavano di prestare servizio di leva per motivi personali, umanitari e religiosi. A valutare se un giovane poteva astenersi o meno dal prestare servizio di leva vi erano degli psicologi militari e la durata del servizio civile sostitutivo era maggiore di quella del servizio militare: l’articolo 5 comma 1 prevedeva che l’obiettore dovesse svolgere otto mesi di servizio in più rispetto al periodo di servizio che avrebbe svolto nell’arma di appartenenza. Quando la giuria non concedeva il via libera a questi ragazzi, iniziarono i ricorsi in tribunale perché comunque era loro negata una possibilità di scelta. Negli anni ’80 la legge venne sottoposta a diversi vagli della Corte costituzionale, che l’ha dichiarata costituzionale, in base all’argomentazione che l’obbligo di difendere la patria non deve essere espletato esclusivamente con una difesa armata.

Un nuovo diritto sociale

Negli anni a seguire l’importanza sociale rivestita dall’obiettore di coscienza ha fatto sì che si rendesse sempre più importante una nuova disciplina dell’istituto, al fine di parificare i due servizi in termini di opportunità e di diritti. La prima regolamentazione del servizio civile si ebbe però solo con la legge 8 luglio 1998 n. 230, che oltre a dettare una nuova disciplina in tema di obiezione di coscienza, istituì l’Ufficio nazionale per il servizio civile. Soltanto nel 2001 viene riconosciuto come servizio completamente distaccato dal servizio di leva. Non è più considerato, in questo periodo, come alternativa ma come diritto. Inizialmente era riservato a donne e uomini con età inferiore ai 26 anni inabili alla leva. Successivamente fu innalzato a 28 anni e, svolta importante, fu la dichiarazione che un cittadino poteva provvedere a difendere la patria non solo con il servizio militare ma anche prestando servizio civile. La legge 23 agosto 2004, n. 226 che determinò la sospensione alle chiamate al servizio militare di leva in Italia, a partire dal 1º gennaio 2005, pose fine di fatto anche al servizio civile obbligatorio, trasformando quindi il servizio civile nazionale come esperienza autonoma e slegata dagli obblighi militari, venendo quindi ad essere accessibile anche a tutti i cittadini di sesso maschile che non abbiano prestato il servizio militare.

Un anno che ti cambia la vita

Così recita lo slogan del SCN: “un anno che ti cambia la vita. Molte testimonianze confermano che ciò accade davvero perché chi ha la possibilità di lavorare in quest’ambito entra in un mondo che spesso viene considerato come diverso ma che in realtà non lo è. I progetti hanno come obiettivo comune quello di portare a forme di integrazione vera e soprattutto partecipata perché lavorare ogni giorno con bambini, disabili, anziani e stranieri dà la possibilità di capire realmente dinamiche che altrimenti non si capirebbero. È un’entrare in empatia con l’altro, capire storie di vita che ti insegnano tanto e ti aiutano, per certi aspetti, a cambiare modo di pensare e di agire. Non solo, è anche un modo per imparare a lavorare in equipe, a fare squadra, perché ogni progetto prevede un numero specifico di partecipanti. Ogni progetto ha degli obiettivi da raggiungere e, considerando che il tempo a disposizione è di 12 mesi, a “s-cadenza” periodica si verifica che i vari obiettivi siano stati raggiunti. Empatia, equipe, aiuto, condivisione, sono solo alcuni dei termini che possono essere utilizzati se si volesse spiegare il servizio civile con parole chiavi.

Opportunità di crescita

Può essere considerato anche come un’opportunità lavorativa perché, anche se si tratta di un contratto a tempo determinato, dà diritto ad un rimborso spese di poco più di 400 €. È sicuramente un’esperienza che forma i giovani, di grande valore culturale, sociale, civico e professionale. L’età minima per essere ammessi a partecipare è 18 anni ed è proprio questo il periodo in cui si concludono gli studi della scuola media superiore, periodo delle scelte universitarie e magari chissà proprio questo può essere un trampolino di lancio per i giovani che hanno capito che il loro futuro lavorativo possa essere legato all’ambito sociale. Quando parliamo di cultura e società parliamo anche del patrimonio artistico e storico del nostro paese: infatti una parte importante dei progetti riguarda anche la salvaguardia e la tutela del nostro patrimonio artistico. Insomma, una vera opportunità di crescita e di rinnovo di valori.

Filomena Oronzo

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