Fare acquisti è un’azione quotidiana. Il consumatore medio acquista svariati prodotti nel metodo tradizionale comprando nei negozi al dettaglio, ma anche attraverso il web. Quando acquistiamo qualcosa, quali sono le caratteristiche che ricerchiamo in un prodotto affinché esso soddisfi le nostre esigenze? Che si tratti di cibo, di oggetti di design (come nel caso di CosediCuore), di abbigliamento, ogni prodotto deve avere determinate caratteristiche che ci portano a sceglierlo. E se oltre a questi “requisiti” i consumatori scegliessero i prodotti di cui hanno bisogno anche in base al loro impatto ambientale e sociale? Forse sorge spontanea una domanda: come può, ad esempio, una maglia avere impatto sull’ambiente e sulla società? Magari è proprio da questa domanda che è nata la consapevolezza di acquistare prodotti con determinate caratteristiche che hanno un basso impatto ambientale e sociale. Presupposti questi per parlare di consumo equo e solidale, consapevolezza del consumo nel rispetto di norme morali legate al contrasto dello sfruttamento della manodopera, utilizzo di materiali riciclabili. Nasce così la filosofia dello slow fashion.
Cos’è lo slow fashion?
Questa espressione inglese, recentemente, è entrata nel vocabolario della lingua italiana. Letteralmente si traduce con “moda lenta“. Cosa sta a significare? Lo slow fashion non è una nuova tendenza di moda ma è una nuova concezione di intendere la moda. Acquistare capi d’abbigliamento, oggi, può aiutare il nostro pianeta a vivere meglio. Come? È più semplice di quanto si possa credere. Questo movimento nasce sulla scia dello “Slow Food”: quest’ultimo nasce in Italia nel 1986 a Bra. Slow Food si è impegnata per la difesa della biodiversità e dei diritti dei popoli alla sovranità alimentare, battendosi contro l’omologazione dei sapori, l’agricoltura massiva e le manipolazioni genetiche. Ma ritorniamo allo slow fashion. Questa espressione ha avuto origine nel 2007, quando la consulente di design sostenibile Kate Fletcher ha definito con queste parole il tipo di produzione e di consumo di abbigliamento in base ai principi su citati dello Slow Food.

Le caratteristiche dello slow fashion
Quando si acquista un capo di abbigliamento ci si focalizza sul marchio, sull’estetica, sulle tendenze dettate dalla moda contemporanea o dagli ormai sempre più numerosi influencer. Si è quasi consumatori compulsivi e talvolta si acquistano anche capi che non saranno mai indossati. Talvolta ancora, si acquista solo per il “gusto” di comprare. E la qualità? Dove è stato prodotto quel capo di abbigliamento che tanto ci piace? Chi lo ha prodotto e come? Rispondendo a queste domande si possono elencare i punti principali che vanno a costituire una sorta di statuto di questo movimento e, inoltre, ci aiutano a diventare più responsabili e consapevoli prima di acquistare un capo d’abbigliamento.

Le regole dello slow fashion
1. Compare in base alle reali esigenze. Comprare tanti indumenti non sempre è necessario. Cerchiamo di capire realmente di cosa abbiamo bisogno, selezioniamo i nostri acquisti in base alle nostre abitudini quotidiane. Così facendo si evita di acquistare vestiti che non saranno mai messi e magari buttati durante il cambio di stagione;
2. Scegliere la qualità. Se acquistiamo capi di qualità scadente, di conseguenza, nel breve periodo, siamo costretti ad acquistare di nuovo. Acquistare abbigliamento qualitativamente migliore comporta l’utilizzo prolungato nel tempo e un dispendio in termini economici e meno emissione di rifiuti. Comprare un capo di qualità sicuramente costa di più che comprarne uno di qualità scadente, ma la spesa iniziale più alta preserva ulteriori spese future superflue;
3. Comprare meno. Chi non ha mai comprato tantissime cose anche senza un reale bisogno? La chiamano “terapia dello shopping“. Avrà poi davvero tutti questi benefici se poi quando si apre l’armadio si esclama sempre la solita frase: “non ho nulla da mettere!“? Quindi comprare solo il necessario ed eliminare ciò che non si utilizza;
4. Conservazione. Se abbiamo cura dei nostri capi d’abbigliamento, questi dureranno di più nel tempo. Importante e favorevole sarebbe utilizzare prodotti adeguati ad ogni tipo di tessuto e, preferibilmente, prodotti equo solidali.

Come evitare gli sprechi?
Quando non si indossano più capi d’abbigliamento, se ancora in buono stato, magari si può pensare di rivenderli o di donarli ad associazioni di volontariato che aiutano persone in difficoltà. In questo modo gli indumenti è come se riprendessero vita. Se proprio non si sa che farne, importante è differenziarli e gettarli negli appositi cassonetti, quelli adibiti appunto alla raccolta degli indumenti usati. Prima di mettere via qualsiasi indumento potremmo provare anche a riciclarlo. Come? Ormai sul web ci sono tutorial di ogni genere e si potrebbe imparare a tagliare, cucire, mettere delle applicazioni e magari da un paio di jeans strappati si può creare una borsa vintage.
Verso un consumo critico
Abbiamo parlato all’inizio di consumo critico. Cosa significa? Per consumo critico, o consapevole, si intende la pratica di organizzare le proprie abitudini di acquisto e di consumo in modo da accordare la propria preferenza ai prodotti che posseggono determinati requisiti di qualità differenti da quelli comunemente riconosciuti dal consumatore medio. Il consumatore critico riconoscerà quindi come componenti essenziali di un prodotto la qualità di quest’ultimo e alcune caratteristiche delle sue modalità di produzione, ad esempio la sostenibilità ambientale del processo produttivo, l’eticità del trattamento accordato ai lavoratori, le caratteristiche dell’eventuale attività di lobbying politica dell’azienda produttrice. Consumare in modo critico significa innanzitutto chiedersi se e quanto possiamo ridurre il livello dei nostri consumi senza per questo privarci di tutti quei beni, materiali e immateriali, di cui abbiamo necessità. Il consumo critico è una pratica sempre più diffusa tra i consumatori che scelgono i prodotti da acquistare in base al rapporto qualità/prezzo ma soprattutto in base alla loro storia e al comportamento delle imprese che li producono e li distribuiscono. Impariamo a consumare in maniera consapevole. Ciò porta benefici a noi stessi e all’ambiente che ci circonda.
Filomena Oronzo
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Laureata in Sociologia con specializzazione in Politiche Sociali e del Territorio, ho conseguito un master in E-Government e E-Management nella Pubblica Amministrazione, adoro leggere e scrivere. Per me fare sociologia è vivere il quotidiano in tutte le sue sfaccettature e peculiarità. Oggi sono Collaboratore Amministrativo all’I.R.C.C.S Burlo Garofolo di Trieste e soprattutto moglie e mamma, la più grande ricchezza in assoluto.