Le società poggiano le loro basi su una strutturazione organizzativa, non è un caso che quando si parla di Stato tutta la manualistica pubblicistica distingue l’entità statuale in almeno tre tipi di configurazioni: Stato istituzione o ordinamento, Stato apparato e Stato comunità. Questa configurazione è stata una conquista sociale e politica, che col tempo sembra essere diventata scontata, ma non lo è. Di qui è parso utile una riflessione ad ampio raggio attraverso la prospettiva della sociologia del potere. A ciò si è aggiunto l’utilizzo del termine “liberazione sociale” come elemento di autodeterminazione.
Il termine è stato utilizzato nell’articolo come contenitore non come simbolo – sicuramente parziale e limitato ad alcune casistiche – con un taglio multidisciplinare.

La nascita di entità statuali come liberazione sociale

Di per se, il passaggio verso quella tripartizione dei poteri di Montesquieu diretta a garantire un sistema organizzativo moderno da il via all’idea molto cara a Rousseau sul contratto sociale. Con esso, i cittadini siglano un patto sociale per la convivenza civile ed esercitano il potere o direttamente o indirettamente tramite dei rappresentanti, quest’ultimi se non rispettano il volere del popolo possono essere immediatamente sostituiti.

Oggi, questo patto “sociale” sembra non sia più una prerogativa di chi governa ed assistiamo ad una deriva morale complessa e trasversale che spezza il patto sociale privilegiando l’interesse individuale egoistico all’interesse individuale collettivo. L’evoluzione organizzativa ha visto il passaggio dal sistema feudale (rapporto vassallo-signore) ad una impostazione che via via si farà sempre più paritaria verso l’affermarsi di quello che identifichiamo come stato moderno e successivamente come Stato di diritto. Questa rivoluzione che consideriamo macro trova specie e significato nella qualificazione del potere di M. Weber, in base alla quale il potere non trova ragione nella forza ma nella legittimazione (è il cosiddetto potere legale-razionale).

Il concetto di comunità internazionale

La conquista che vede il passaggio dell’individuo da suddito a cittadino ha contorni storici stratificati, passaggio avvenuto non in modo indolore, ma frutto di lotte sia individuali che di classe e la storia è ricchissima di esempi poiché di fatto tocca ogni ambito della società, dai diritti individuali alle libertà personali, dalla possibilità di organizzarsi in gruppi di interesse ovvero alla scelta di farne o non farne parte. E’ questa una configurazione di un modo di concepire lo Stato inteso come laico e garantista oltre che di diritto, e se il potere politico è quel potere che consente a chi lo detiene di imporre la propria volontà mediante l’utilizzo della forza legittima, il potere sociale ne rappresenta la sovrastruttura.

Se si vuole, la nascita stessa degli Stati (che storicamente viene fatta coincidere con l’anno 1648 con la pace di Westfalia), avvenuta con l’affermarsi di quella particolare idea embrionale che si identifica come “comunità internazionale” rappresenta una forma di consolidamento delle strutture sociali statuali. Il termine in realtà prima che giuridico è fortemente sociologico e politico, ed afferisce al diritto di autodeterminazione dei popoli e dei singoli individui che oggi più di ieri appare offuscato dalla cecità della classe politica svuotata di valori ed ideali e succube di lobby sovranazionali. 

Sociologia del potere: l’acquisto della consapevolezza sociale

Come naturale conseguenza di variabili macro organizzative e di struttura, a cascata si sono prodotte una serie di conquiste sociali scaturite proprio da lotte sociali che hanno determinato a loro volta delle liberazioni sociali. Invero, si tratta di processi che sono tutt’ora in continuo mutamento, sia in direzione evolutiva che involutiva, secondo la classica regola delle fluttuazioni. Infatti un medesimo diritto appare scontato o compresso a seconda del periodo storico nel quale si colloca e anche del territorio.

Le determinanti del processo sono costituite dai valori/interessi predominanti non sempre spontanei ma molto spesso indotti o da gruppi di interesse a matrice politica, religiosa, economica/finanziaria o purtroppo per finalità regressive sociali.

Sociologia del potere e degenerazioni

La consapevolezza sociale collettiva riemerge quasi sempre a seguito di eventi drammatici, guerre, pandemie o anche a singoli episodi traumatici che scuotono l’opinione pubblica con una portata e con un impatto sulla società massivo e dirompente, si pensi all’ingiustizia subita da un dissidente politico portato alla morte, o ad una persecuzione sistematica subita da soggetti che hanno divulgato all’opinione pubblica fatti atroci e compromettenti riguardanti le azioni politiche/militari di uno stato nel corso persino di operazioni di “peace keeping”.

Sono tutte casistiche di degenerazione del potere che scaturiscono in tragedie. Rispetto ad esse, la società reagisce o con una presa di consapevolezza e di risveglio delle coscienze o di apatia, disinteresse consolidato. Ma tentiamo di fare una piccola e non esaustiva disamina in concreto su alcuni fenomeni, focalizzando l’attenzione sul lavoro e sulla cultura

Il lavoro tutelato come liberazione sociale

Senza voler fare una ricostruzione storica della tematica, a cui pur tuttavia si rimanda, cerchiamo di fare un focus mirato su come nel periodo attuale ci sia una tendenza ad una deregolamentazione delle tutele sociali del lavoro e ad alcune conquiste sociali ad esso legate che vivono un momento di forte contrazione. Pensiamo ad esempio alla recente questione del salario minimo legale.

A fronte di una richiesta indirizzata a sancire un diritto ad una retribuzione dignitosa, si è assistito ad un’alzata di scudi nell’arena politica da parte del potere esecutivo e di tutto l’apparato connesso (vedi il CNEL). L’istituto ipotizzato in realtà andava nella direzione di tutelare una platea di lavoratori precari molto ampia, che vedono allo stato attuale mortificata una legittima esigenza, quella di avere una retribuzione almeno minimale.

Il salario minimo

Fa specie il rifiuto e le motivazioni addotte, secondo le quali tocca alla contrattazione collettiva determinare i livelli salariali, ma si omette volutamente di palesare che la richiesta di una retribuzione giusta è già contenuta nella norma Costituzionale in particolare nell’art. 36 Cost. (sufficiente e proporzionata). E’ questa una norma a forte impatto sociale, che tuttavia non trova ancora degno riconoscimento verso le categorie di lavoratrici e lavoratori precari (giovani e anche meno giovani che vengono espulsi dal mondo produttivo).

Eppure riconoscere un salario minimo avrebbe un effetto sull’intero sistema socio economico, positivo ovviamente su consumo e risparmio. Una contrazione che si registra anche nell’ambito delle tutele integrative economiche (periodi brevi di copertura sociale, scarsa attenzione ad una reale e efficace riqualificazione dei lavoratori, età pensionistica sempre più lontana, attacchi periodici verso la tutela reale (art. 18 Legge 300/1970) e di tutta l’architettura del complesso normativo dello statuto dei lavoratori, legge che ricordiamo sancisce finalmente la libertà sindacale nei luoghi di lavoro.

Sociologia del potere e del lavoro

Come non citare il tristissimo fenomeno delle morti bianche, che scaturisce proprio da una visione neoliberista degli appalti, che con le cascate di subappalti a ripetizione determinano non solo la carenza di sicurezza, ma anche un effetto di deresponsabilizzazione della prima stazione appaltante. Di contro, paradossalmente si registra una tendenza al consolidamento di istituti monetari a vantaggio di settori elitari (nell’arena politica in particolare, con un progressivo degrado della coerenza istituzionale, e che per esempio, vede il riconoscimento e la ri-attribuzione del vitalizio persino a coloro i quali durante i mandati si sono posti al di fuori della legalità costituzionale).

Persino il funzionamento sociale della cosiddetta flex-security, che auspicherebbe il reingresso nel mercato del lavoro in poco tempo, non trova sbocco e funzionamento in Italia, poiché vige un’economia asfittica (difficilmente un over 50 riesce a rientrare nel mondo del lavoro, e ancor di più lo è per i giovani), priva di un vero tessuto produttivo (tutta la filiera produttiva è delocalizzata in paesi a basso costo di mano d’opera) con la conseguenza che di fatto nulla o quasi viene prodotto in Italia determinando la perdita del know how.

La cultura come liberazione? una riflessione di sociologia del potere

Le società si evolvono anche mediante la cultura (intesa non solo come patrimonio di conoscenze e di sapere tecnico) in quanto variabile sociale. In epoche antiche, coloro che detenevano quelle poche conoscenze basilari (per esempio la conoscenza della scrittura) venivano collocati in posizioni di grado più elevato rispetto alla moltitudine della popolazione.

L’esempio degli scribi egizi è lampante proprio per qualificare come anche poche conoscenze ponessero in una ottica diversa determinati soggetti a discapito della massa. Il percorso storico della cultura diffusa e generalizzata non è stato semplice né indolore e per molti stati rimane ancora utopica. Nei fatti, ci vorranno secoli per addivenire ad una concezione aperta e sociale della cultura, un tempo infatti solo gli appartenenti a classi nobili e aristocratiche potevano attingere al sapere.

Il ruolo chiave dei media?

Sociologia del potere: il popolo ignorante

Questo ovviamente ha una motivazione socio politica, poiché più il popolo è ignorante maggiore è la possibilità dei poteri forti di gestire a piacimento le scelte politiche.

C’era e c’è, un preciso disegno per anestetizzare la società, questo effetto lo si produce appunto o impedendo l’accesso alla scolarizzazione attraverso barriere che sono sia di carattere strutturale (eccessivi costi da sostenere per gli studenti fuori sede per esempio), organizzativo (carenza di docenti o strutture fatiscenti), oppure si utilizzano mezzi e strumenti indiretti distrattori (l’utilizzo di alcuni social con effetti devastanti sui ragazzi è ormai un dato di fatto) finalizzati a disorientare e allontanare la propria consapevolezza critica, veicolandola su un terreno delle banalità proprio attraverso i social.

Sociologia del potere: commento sull’attualità

Per non parlare dei recenti interventi di riforma scolastica, con la proposta di licei dal titolo a dir poco propagandistico (il made in Italy). Dunque la cultura per alcuni versi rappresenta un tabù, ostacolarla aiuta il potere per il raggiungimento dei propri fini, che non sono ovviamente basati su interessi collettivi. Tanto maggiore è il livello culturale, di conoscenza, coscienza critica, di consapevolezza di un popolo, tanto maggiore sarà la difficoltà da parte dei poteri di controllarlo. Ma vi è di più, assistiamo oggi ad un disegno di smantellamento sociale che mina le fondamenta di quei diritti costituzionali costati un altissimo prezzo in termini di vite umane e di lotte sociali.

E’ forse il paradosso delle democrazie, quando raggiungono la maturità producono un effetto anomalo, forse di banalità, si da per scontato che ci si possa curare liberamente, si possa attingere agli esami diagnostici facilmente, si possano frequentare le università a costi sostenibili, si possa manifestare e dissentire, si possa votare e scegliere avendo tutte le informazioni necessarie, si possa ricordare una ricorrenza di libertà.

Sociologia del potere… di voto?

Questo processo di assopimento fa si che persino l’esercizio del diritto di voto assume nella collettività un’importanza tiepida, per cui accade banalmente che vuoi per distacco dalla politica, vuoi per disinteresse personale, non si eserciti più questo diritto (astensionismo), con le risultanze ed effetti che si possono facilmente constatare oggi. Ecco questi esempi di diritti e tanti altri, non appaiono più scontati, ma sono sotto attacco con il non celato intento forse di trasformare una società laica, pluralista e basata almeno in via di principio sullo stato sociale in una società autarchica.

E’ nei fatti quell’effetto ampiamente teorizzato dal Tocqueville all’incirca due secoli fa (“Sotto i regimi assoluti, il despota, per raggiugere l’anima, colpiva grossolanamente il corpo, e accadeva che l’anima sfuggendo alle percosse, si innalzasse gloriosamente sopra di esso; ma nelle democrazie la tirannide non procede a questo modo, essa non si cura del corpo, va dritta all’anima”).

Francesco Caliò

Riferimenti

  • S. Cassese, La separazione dei poteri, Giuffré, 2023.
  • R. Bin, G. Petruzzella, Diritto Pubblico, Giappichelli, 2023.
  • M. Weber, Sociologia del potere, Pgreco, 2014.
  • B. Conforti, Diritto Internazionale, ESI, 2021.
  • E. Ghera, Diritto del lavoro, Giappichelli, 2023.
  • G. Giugni, Diritto sindacale, Cacucci, 2014.
  • G. P. Cella, Il sindacato, Laterza, 2004.
  • E. Reyneri, Introduzione alla sociologia del mercato del lavoro, Il mulino, 2017.
  • A. D. Tocqueville, La democrazia in America, Utet, 2017.
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