La disabilità è analizzata e studiata, oltre dalle discipline di stampo medico, anche dalla sociologia, una delle scienze “molli”. La sociologia, come noto, è una disciplina che ha per oggetto i fenomeni sociali indagati nelle loro cause e manifestazioni, nei loro processi ed effetti, nei loro rapporti reciproci e con altri fenomeni. Quindi in questo caso la disabilità viene considerata un fenomeno sociale. Dal secolo scorso fino a oggi, diverse correnti si sono occupati della disabilità dal punto di vista sociologico. Qui verranno presi in considerazione tre approcci che interpretano la realtà della persona con disabilità nel contesto sociale.
Da notare che tutti gli approcci trattati qui hanno derivazione dal modello biomedico della disabilità, sono stati formulati prima della nascita dei modelli sociale e biopsicosociale. Quest’ultimi si stanno facendo sempre più spazio negli attuali ambiti che si occupano di disabilità. Il modello medico però è ancora molto dominante nella codificazione della stessa.
Sociologia della disabilità: approccio conflittualista
Questa corrente intende la società come un sistema conflittuale tra forze economiche e sociali contrastanti. Karl Marx è l’esponente più rilevante di questo approccio, non ha mai trattato esplicitamente il tema della salute e/o disabilità, ma la condizione di vita degli operai è uno dei fondamenti del suo pensiero, la salute diventa una caratteristica intrinseca del vivere comune.
Il concetto di alienazione è l’espressione di come la reificazione dell’uomo sull’uomo produce solo malessere e disagio sociale tra classi. L’oggettività, alimentando la soggettività, destabilizza l’uomo. Secondo Marx nella società capitalista non è l’operaio che adopera i mezzi di produzione, ma sono i mezzi di produzione che adoperano l’operaio. Nel pensiero di Marx possiamo dunque intravedere due aspetti che riconducono alla disabilità:
- Il capitalismo genera un sistema in sé disabilitante poiché limita l’individuo da alcune sue funzioni.
- La contrapposizione disabilità-normalità ricalca la dicotomia esistente tra borghesia e proletariato. I disabili rappresenterebbero una classe sociale con delle proprie peculiarità che la differenziano dagli altri due. La classe dei disabili sarebbe più vicina quella che i marxisti preferiscono chiamare sub proletariato.
La malattia e i fattori disabilitanti per la persona diventano dunque delle barriere per l’individuo che a causa del suo status di non forza lavoro rischia di vedersi escluso dall’intero sistema produttivo. La logica capitalistica che si fonda sulla produzione, il profitto e la concorrenza non può permettersi inefficacia e rallentamento delle attività produttive.
La disabilità viene interpretata più come un ostacolo che come partecipazione al ciclo lavorativo.
Per i teorici del conflitto anche i sistemi e le strutture volte al recupero dei disabili sottendono a delle logiche produttive. Il malato e il disabile rappresentano dei consumatori di servizi e non sono considerati come cittadini aventi diritti e doveri. Le scelte personali sono legate esclusivamente alle logiche consumistiche e utilitaristiche tipiche del mercato capitalistico.
Solo con l’era post industriale la persona con disabilità ha acquisito maggiore libertà di espressione e soprattutto emancipazione.
Per Abberley la disabilità rappresenta una forma di oppressione che ha a che fare con l’esistenza di relazioni sociali gerarchiche. A differenza delle disuguaglianze di genere e di razza, le persone con disabilità sono limitate da un fattore biologico oltre che sociale. Sono considerati alla stessa stregua di minoranze etniche, razziali, di genere, poiché posseggono le stesse caratteristiche:
- I membri del gruppo sono oggetto di pregiudizio, di discriminazioni;
- Possiedono un tratto che hai giudicato negativamente da parte del gruppo dominante;
- Vi è una consapevolezza collettiva della propria condizione;
- L’appartenenza a questo gruppo è involontaria e ascritta perché si acquisisce con la nascita;
- Il gruppo è tendenzialmente endogamico.
Per queste ragioni la disabilità è più un problema di dimensione politica che di gestione clinica.
Secondo l’approccio conflittualista, la disabilità risulta essere una classe sociale riconducibile al sub-proletariato, quindi la persona con disabilità è emarginata o sfruttata dalla borghesia.
Sociologia della disabilità: approccio struttural funzionalista
Secondo Talcott Parsons, tra i primi sociologi a trattarla con connotazioni sociologiche, la malattia è lo stato di turbamento nel funzionamento normale dell’individuo umano nel suo complesso, in quanto comprende sia lo stato dell’organismo come sistema biologico sia i suoi adattamenti personali e sociali. Essa viene definita sia biologicamente sia socialmente. Il sociologo americano lega il concetto di malattia a una visione strettamente rilegata alla funzionalità biologica del sistema corporeo, in relazione al contesto sociale e ambientale. In questo approccio è centrale il concetto di malattia piuttosto che di disabilità. E la persona con disabilità infatti assume un ruolo particolare in virtù della sua anomala condizione di salute, ossia di malattia. Il merito di Parsons consiste nell’aver individuato il ruolo del malato nel sistema di vita dell’individuo, questo ruolo si ripartisce in tre specifiche dimensioni:
- Biologica, la quale tratta l’aspetto puramente biologico delle alterazioni che caratterizzano una patologia;
- Esperienziale, considera l’esperienza che il soggetto vive in relazione alla patologia;
- Socio-relazionale, considera il condizionamento sociale che la malattia comporta sull’individuo.
La malattia non è semplicemente un pericolo esterno da cui il sistema sociale deve guardarsi ma rappresenta una particolare forma di devianza in quanto è fonte di sconvolgimento dell’ordine sociale. Si tratta di una forma di devianza istituzionalizzata, per la quale la società prevede uno specifico ruolo: il sick role, il malato è un deviante anche se in modo involontario e inconsapevole.
Possiamo così comprendere che la disabilità, secondo Parsons e quindi questo approccio, è una devianza involontaria perciò la persona con disabilità risulta deviante dalla “norma”.
Sociologia della disabilità: approccio interazionista
L’interazionismo simbolico considera la malattia e la disabilità hanno carattere culturale e normativo. Ervin Goffman è il sociologo più rilevante di questo approccio grazie ai suoi studi sullo stigma e sulle istituzioni totali volte a isolare qualunque forma di devianza sociale. Lo stigma è il rapporto tra l’attributo e lo stereotipo che produce discredito nei confronti dell’attore sociale che riveste l’etichetta di malato e/o di disabile. Per Goffman vi sono tre tipi di stigma:
- Le deformazioni fisiche;
- Gli aspetti criticabili del carattere che vengono percepiti come mancanza di volontà, passioni sfrenate o innaturali, credenze malefiche o dogmatiche, disonestà;
- Stigmi tribali della razza, della nazione, della religione, che possono essere trasmessi di generazione in generazione e contaminano in egual misura tutti i membri di una famiglia.
Identità disabile
Per Goffman la disabilità assume le vesti di una identità sociale condizionata pesantemente dai rapporti tra i soggetti della comunità. Sono proprio i rapporti faccia a faccia che realizzano il passaggio di ruoli e che inficiano pesantemente la persona. La società in realtà non valuta e non giudica le capacità dell’individuo ma si ferma un istante prima, al giudizio aprioristico in base alle caratteristiche mostrate dall’attore sociale. Essa categorizza – e dunque include ed esclude – gli individui in base a preconcetti e pregiudizi.
Per riorganizzare il self dei soggetti considerati “diversi”, la società istituisce delle strutture e delle organizzazioni che hanno la finalità di risollevare la persona dal proprio sick role ma di fatto non fanno altro che mortificarla. Si può comprende che le istituzioni, soprattutto quelle totali, svestono l’attore della propria identità per rivestirlo di una nuova identità istituzionale standardizzata. Si genera una vera e propria carriera morale, un percorso di vita caratterizzato da regole e stili di vita che prescindono dal resto della realtà sociale. Secondo Goffman, la disabilità è intesa come stigma, quindi la persona con disabilità è discriminata dalle altre persone “normodotate”.
Simone Bellan