Dopo aver esaminato l’idea di potere e il suo rapporto col sapere, vediamo le modalità di potere, soffermandoci sull’opera più famosa di Michel Foucault, “Sorvegliare e punire” (1975), e riflettendo sul concetto di biopolitica.

Forze di potere

Sorvegliare e punire” non è un’opera morale e di denuncia del potere; piuttosto, è un accurato lavoro genealogico sul carcere, al fine di delineare una teoria generale del potere nel passaggio all’epoca moderna (‘700/’800). “Sorvegliare e punire” si presenta come un saggio di anatomia politica, nel quale, grazie ad un’operazione archeologica sulla penalità francese, Foucault individua quelle forze di potere da cui derivano delle precise configurazioni di potere, certi tipi di diagramma che attuano e si attuano entro specifici regimi societari. Se l’epoca delle grandi monarchie era stata segnata dal potere sovrano, il quale tendeva al modello unitario del “Leviatano” (1651) di Hobbes, tra il XVII e il XVIII secolo il controllo del potere viene moltiplicato e non più centralizzato. È ciò che Foucault chiama potere disciplinare. Nella sua opera, Foucault parte dalla prigione per riflettere sugli insieme degli apparati istituzionali plasmati su questa tipologia di potere. Difatti, quella carceraria è solo una delle istituzioni, uno degli ambiti di sapere segnati dal potere disciplinare, il quale ha una funzione normalizzatrice. La normalità è frutto di produzione storica, di tecnologie di potere ed è regolata da un sistema di enunciati normativi (la legge). Essendo la società disciplinare una società di norme, allora esiste un rapporto costitutivo tra norma e soggettività.

Questione di epidemie

Foucault per descrivere le differenze tra i due modi di organizzazione sistemici del potere, tra sovranità e disciplina, fa l’esempio delle tecniche per fronteggiare le epidemie della lebbra e della peste. La lebbra si combatte con l’esclusione, una tecnica che rappresenta il sogno politico della sovranità, cioè quello di una comunità pura. La peste, invece, va cartografata per essere contenuta, richiede la creazione di zone nelle città differenziate (ripartizione differenziata), in cui mettere anche i potenziali appestati; in tal senso, si configura con la disciplina e il suo sogno di normalità, o meglio di immettere l’idea di normalità negli ambiti di sapere e, di conseguenza, negli individui. Uno tende all’unificazione di sguardi dei sudditi con quello del re, l’altro alla divisione spaziale di individui. Il supplizio (la forma di punizione delle monarchie) vuole la riabilitazione dell’unità, dell’ordine violato del potere sovrano; la pena vuole riedificare la funzione normalizzatrice del potere disciplinare. Il potere sovrano fabbrica sudditi, il potere disciplinare fabbrica individui.

Vedere senza essere visti

In seguito, da Bentham viene ripresa l’immagine del Panopticon: è una figura architettonica in cui si incrociano i due sogni politici, pur sempre sotto il predominio delle tecniche disciplinari. Vi è una torre centrale e un anello circolare intorno alla torre, diviso in celle uguali. Nella torre vi è il sorvegliante, il quale può vedere senza essere visto, nelle celle “un pazzo, un ammalato, un condannato, un operaio o uno scolaro”, che non vedono ma possono essere visti. Il Panopticon è da intendersi come modello generalizzabile di funzionamento, il quale è assicurato dallo stato cosciente di visibilità. A tal proposito scrive Gilles Deleuze: “Nel definire il panoptismo, talvolta Foucault lo determina come una macchina che non soltanto si applica a una materia visibile (caserma, scuola, ospedale, prigione, etc.), ma in generale attraversa anche tutte le funzioni enunciabili. Quindi la formula astratta del panoptismo non è più ‘vedere senza essere visti’, ma imporre una condotta qualunque a una molteplicità umana qualunque (…). Macchina quasi muta e cieca, benchè sia essa a far vedere e parlare”. Tra i diagrammi non vi è mutua esclusività, al contrario le modalità di potere dialogano, sebbene ricoprano predominanza in una specifica società e in una specifica epoca storica.

Biopotere e popolazione

Foucault delinea ne “La volontà di sapere” (1976), attraverso una genealogia della sessualità, un terzo regime che si dispone accanto ai primi due: il biopotere. Se la monarchia mirava a costruire sudditi, se la disciplina aveva nell’individuo il suo bersaglio, il biopotere si rivolge alla popolazione. Nel XIX secolo inizia a irrompere la presa del potere sulla vita. “Possiamo dire che, dopo una prima presa di potere sul corpo che si è effettuata secondo l’individualizzazione, abbiamo una seconda presa di potere che non è più individualizzante, ma procede nel senso della massificazione. Essa si realizza non in direzione dell’uomo-corpo, ma in direzione dell’uomo specie”, chiarisce Foucault in una delle ultime lezioni raccolte in “Bisogna difendere la società” (1976). All’anatomia politica si affianca il biopotere, sorto da quell’insieme di processi che erano in connessione con i problemi economici e politici, quali la proporzione delle nascite e dei decessi, il tasso di riproduzione, la longevità e così via. L’ascesa della statistica per misurare i suddetti processi era funzionale ad una politica di incremento demografico. Più che alle malattie epidemiche, ci si preoccupa di quelle endemiche alla società, quelle che pregiudicano la produttività della società stessa. Queste malattie sono considerate come “fattori permanenti di sottrazione delle forze, di diminuzione del tempo di lavoro, di riduzione dell’energie. (…) In termini di costi economici, sia a causa della mancata produzione, sia a causa delle spese che le cure possono comportare. (…) La malattia non più come morte che si abbatte brutalmente sulla vita, ma come morte permanente, che si insinua e penetra la vita, la rode di continuo, l’accorcia e l’indebolisce”.

Integrazioni

In risposta, la biopolitica appronta meccanismi ingegnosi. “Si tratta di meccanismi di previsione, di stime, ma anche di modifica dei fenomeni nella loro globalità (…). Si dovranno installare dei meccanismi di sicurezza attorno a quanto di aleatorio vi è in ogni popolazione di esseri viventi. (…) Si tratta di agire, per mezzo di meccanismi globali, in modo da ottenere degli stati complessivi di riequilibrio, di regolarità”. Come la disciplina, il biopotere mette in atto strategie per massimizzare le forze ed estrarle dagli individui, ma la prima attraverso la funzione normalizzatrice, la seconda attraverso la funzione di regolamentazione. Il biopotere non soppianta la disciplina, ma si integra ad essa, così come retaggi di sovranità continuano a ritrovarsi nella morfologia dello stato (basti pensare all’idea di sovranità popolare).
A riguardo Deleuze scrive: “Il fatto è che il diagramma è profondamente instabile e fluente, perché non smette di mescolare materie e funzioni, così da costruire dei mutamenti. Infine, ogni diagramma è intersociale e in divenire”.
In quest’ottica, il rapporto dinamico tra i diagrammi possibili di potere, tra potere sovrano, potere disciplinare e biopotere, crea instancabilmente nuove ed originali sintesi.

Fulvio Mele

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