Tracciare i contorni dell’eredità filosofica di Michel Foucault è impresa ardua. È ancor più arduo sistematizzare un lavoro di studio e di ricerca durato circa trent’anni; un lavoro costantemente ripensato, riadattato, riesaminato. Questa rubrica dedicata all’approfondimento del pensiero di Foucault cercherà di riflettere sul nesso relazionale tra potere e sapere, e come nel campo potere-sapere si produce il soggetto, o meglio, come si producono le soggettività. L’intento è comprendere, alla fine, la lente con cui Foucault osserva e mette a fuoco, per poter meditare sul lascito filosofico e sociologico di uno dei più grandi intellettuali dell’ultimo secolo. Il primo articolo è dedicato proprio al centrale rapporto tra sapere e potere.
Tra archeologia del sapere e genealogia
Per poter entrare nel merito della questione, bisogna innanzitutto chiarire la metodologia con la quale procede il pensiero foucaultiano. Da Nietzsche, Foucault riprende il metodo genealogico, che non è altro che un approfondimento, un’integrazione del metodo archeologico della prima fase del suo pensiero. In “Bisogna difendere la società”, pubblicazione che raccoglie le lezioni di Foucault al College de France del 1976, afferma:
“l’archeologia sarebbe il metodo proprio dell’analisi delle discorsività locali e la genealogia sarebbe la tattica che, a partire dalle discorsività locali così descritte, fa giocare i saperi, liberati dall’assoggettamento, che ne emergono. Questo per restituire il progetto di insieme”.
La genealogia è tattica. Una tattica di liberazione “dall’assoggettamento dei saperi storici” al fine di renderli “capaci di opposizione contro la coercizione di un discorso teorico, unitario, formale e scientifico”. Potremmo dire che se l’archeologia ha il compito di dissotterrare i saperi sepolti ed assoggettati, “forzare gli archivi”, ritrovare ciò che la scienza ha rimosso, svelando i regimi epistemici di una data epoca, la genealogia ha l’ambizione di farli insorgere, svelandone i regimi di potere ad essi sottesi. L’una non esclude l’altra, anzi l’una presume l’altra. È bene specificare che tale insurrezione non è “contro i contenuti, i metodi o i concetti della scienza (intesa come ordine discorsivo e gerarchico di una data epoca), quanto innanzitutto contro gli effetti di potere centralizzatori legati all’istituzione ed al funzionamento di un discorso scientifico organizzato all’interno di una società come la nostra”. È proprio in questo senso che le genealogie sono delle antiscienze.
Esercitare il potere
A questo punto si può già assaggiare la complessità del rapporto sapere-potere, un rapporto in continuo divenire (perché cambiano i rapporti di forza così come cambiano le forme di sapere), retroattivo, di coesistenza e di reciproca attivazione. “Non c’è sapere e scienza che non implichi l’esercizio di un potere in atto”, scrive Gilles Deleuze nel saggio intitolato “Foucault” (1986). Entrambe, modificandosi, modificano l’altro polo. Ebbene, è necessario fare delle chiarificazioni sull’idea che ha Foucault di potere. Innanzitutto, il potere non si possiede ma si esercita. Non è fenomeno consapevole di dominazione compatto ed omogeneo, piuttosto è qualcosa che circola. Bisogna liberarsi dalla concezione secondo cui il potere va analizzato nei termini di apparato di stato, tantomeno ha senso cercare il potere in un solo fulcro, localizzarlo. “Il potere è dappertutto, non perché inglobi tutto ma perché viene da ogni dove”, scrive Foucault ne “La volontà di sapere” (1976). Osservare, allora, gli infinitesimali rapporti di forze che dal basso vanno ad investire le forme di sapere e la produzione di soggettività, come “i poteri locali, regionali, molecolari si instaurano a livello globale, attraverso crescenti processi di integrazione”.
Microfisica del potere
È questa la cosiddetta microfisica del potere, quella che mira a comprendere il modo con cui le procedure di potere funzionano ai livelli più bassi. In quest’ottica nessuno detiene il potere, ma gli individui “sono sempre posti nella condizione sia di subirlo che di esercitarlo. Il potere non si applica agli individui, ma transita attraverso gli individui”. Ne “La volontà di sapere” Foucault ribadisce: “fra tecniche di sapere e strategie di potere non c’è nessuna esteriorità, anche se hanno ciascuna il loro ruolo specifico e si articolano l’una con l’altra a partire dalla loro differenza”. In definitiva, se il potere è un esercizio ed ha una funzione, il sapere è la regola attraverso cui il potere si esercita e funziona. Vedremo la prossima volta le modalità del potere nel suo rapporto con la produzione di soggettività, prendendo in esame i concetti di disciplina e di biopolitica.
Fulvio Mele
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Sono un napoletano cittadino del mondo. Amo la Sociologia e studio a Bologna per la Magistrale in Ricerca Sociale. Amo il giornalismo e da quattro anni sono giornalista pubblicista.