Uno dei più grandi giuristi italiani Stefano Rodotà nel suo testo “il diritto di avere diritti” tratta a più riprese il tema della dignità della persona. Secondo l’autore bisogna partire sempre da questo per poter ragionare con lungimiranza, sia nei programmi di governo sia più prettamente nei discorsi riguardanti il sociale. Da qui l’idea di homo dignus, che si struttura in diverse tappe storiche e sociali. Vediamo le più significative per un discorso iniziale.

Un lento processo per l’homo dignus

Il diritto ha definito, ogniqualvolta ci sono state grandi modifiche nell’apparato giuridico, un particolare modello di persona che lo accoglie e lo legittima. I diritti ritenuti naturali dal sistema giuridico stesso sono cambiati molto nel corso della storia. L’homo juridicus a cui noi tutti dobbiamo approssimarci, nelle parole di Alain Supiot (2006), risulta essere <<il modo prettamente occidentale di legare la dimensione biologica con la dimensione simbolica, entrambe costitutive dell’essere umano>>. Questa soluzione auspicata da Supiot porta a ragionare sulla divisione terminologica diadica che nasce tra l’uomo (dimensione biologica) e il cittadino (dimensione simbolica) ha avuto un lento processo di costituzione nella storia del diritto, percorribile in sintesi attraverso il riferimento ad importanti documenti:

  • La Magna charta libertatum del 1215, in cui l’habeas corpus non fa emergere un diritto naturale della persona, ma l’attribuzione di diritti ai contraenti del patto avvenuto tra re, nobili e clericali.
  • La Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789, un testo elaborato nel corso della Rivoluzione francese, contenente l’elenco dei diritti fondamentali formalmente riconosciuti.
  • Il Code civil des Français (Napoleonico) del 1804, che pose fine definitivamente alla tradizione giuridica dell’Ancien Régime proponendo una nuova antropologia che avrebbe segnato l’800 e parte del 900, ossia l’individualismo proprietario.

Quest’ultimo modello giuridico viene corretto e ampliato dal diritto del lavoro e con l’eliminazione della differenziazione per classi sociali, col tempo è stato possibile maturare e riprendere il discorso dell’eguaglianza.

Homo dignus e le carte dei diritti post guerra

Il 10 dicembre 1948, l’Assemblea generale delle Nazioni Unite approva la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, il cui art. 1 afferma che: “tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti”. Anche la Legge fondamentale tedesca dell’8 maggio 1949 si apre con le parole: “La dignità umana è intangibile. E’ dovere di ogni potere statale rispettarla e proteggerla”.

Il cammino costituzionale della dignità è continuato fino all’approdo alla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea del 2000, che si apre proprio all’insegna della dignità, riproducendo quasi alla lettera il primo articolo della Costituzione tedesca.

Dignità e lavoro

Dignità e lavoro sono adesso i due nuovi punti d’avvio, che non segnano un congedo dai fondamentali della libertà e dell’eguaglianza, ma ne rinnovano e rafforzano il senso. Tuttavia, se la persona non può essere separata dalla sua dignità, neppure il diritto può prescinderne o abbandonarla. Proprio questa consapevolezza è alla base di un’altra scelta rinvenibile nella Carta dei diritti fondamentali dove, nel preambolo, si afferma che l’Unione europea “pone la persona al centro della sua azione”.

Secondo Rodotà proprio questa antropologia della modernità giuridica è oggi messa in discussione, anzi, “sfidata e radicalmente negata” da una logica di mercato che, in nome della produttività e degli imperativi della globalizzazione, prosciuga i diritti dell’uomo. Si può, secondo Rodotà, combattere questi imperativi formalizzando e attuando nei processi giuridici una differenziazione fondamentale dei vari aspetti del concetto di dignità contemporaneo:

  • LA DIGNITA’ COME PATRIMONIO DI DIRITTI
  • DIGNITA’ COME PRINCIPIO
  • DIGNITA’ COME LAVORO: DECENT WORK

Homo dignus e scenari digitali

La costruzione dell’homo dignus non può essere effettuata all’esterno della persona, ha davvero il suo fondamento in interiore homine. Deve essere incarnata certo, ma nel senso più profondo del termine: deve essere esclusiva, incedibile. Tuttavia con l’avvento dei mondi reticolari del digitale sorge spontanea una domanda: entrando nel mondo globale la persona diventa digitale e, difatti, compare l’homo numericus… può dunque quest’uomo nuovo essere ancora considerato dignus?

A tal proposito l’antropologia dell’homo dignus obbliga a mantenere al centro la dimensione dell’umano, la sua ricchezza, l’imprevedibilità e la libertà. In definitiva, nei nuovi contesti digitali possiamo affermare che la dignità è venuta ad integrare principi fondamentali già consolidati: libertà, eguaglianza e solidarietà, facendo corpo con essi e imponendone una reinterpretazione in una logica di indivisibilità. Questi principi sono la base per la costruzione non tanto dell'”uomo nuovo”, quanto più di un uomo che possa definirsi dignitoso in senso eco-logico: un uomo che si fa portatore di diritti di libertà.

Bibliografia

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