È da molti mesi che in Italia si parla, in maniera molto generica ed evasiva, del referendum contro le trivellazioni, promosso da nove consigli regionali appoggiati da numerosi movimenti e associazioni ambientaliste tra cui il coordinamento No Triv e Greenpeace. Il referendum si terrà il 17 aprile ma la stampa e i mezzi di comunicazione mainstream ne parlano poco e superficialmente. Il referendum è una della poche espressioni di democrazia diretta che ci rimane. Ecco alcune delucidazioni sul tema.

Quando si terrà il referendum?

Il referendum si svolgerà il 17 aprile. In molti hanno chiesto invano di spostare il voto a giugno, quando in diverse città italiane si terranno le elezioni amministrative, per risparmiare sull’allestimento dei seggi. La concomitanza tra amministrative e referendum promuoverebbe la visibilità del quesito referendario e aumenterebbe la possibilità di raggiungere il quorum necessario affinché il referendum sia valido. Per raggiungerlo, deve andare a votare la metà degli aventi diritto. Il Governo e il Presidente della Repubblica hanno deciso di convocare il referendum abrogativo il 17 aprile. La legge (decreto n. 98 del 2011) non prevede che le elezioni possano svolgersi in concomitanza con un referendum.

Cosa viene chiesto nel quesito referendario?

Nel quesito referendario si chiede: “Volete che, quando scadranno le concessioni, vengano fermati i giacimenti in attività nelle acque territoriali italiane anche se c’è ancora gas o petrolio”? Il quesito riguarda solo la durata delle trivellazioni già in atto entro le 12 miglia dalla costa, e non riguarda le attività petrolifere sulla terraferma, né quelle in mare che si trovano a una distanza superiore alle 12 miglia dalla costa (22,2 chilometri).

Quali potrebbero essere gli effetti del “sì”?

Se vincerà il sì, sarà abrogato l’articolo 6 comma 17 del codice dell’ambiente, dove si prevede che le trivellazioni continuino fino a quando il giacimento lo consente. La vittoria del sì bloccherà tutte le concessioni per estrarre il petrolio entro le 12 miglia dalla costa italiana, quando scadranno i contratti. Tra gli altri saranno interessati dalla misura: il giacimento Guendalina (Eni) nell’Adriatico, il giacimento Gospo (Edison) nell’Adriatico e il giacimento Vega (Edison) davanti a Ragusa, in Sicilia. Non saranno interessate dal referendum tutte le 106 piattaforme petrolifere presenti nel mare italiano per estrarre petrolio o metano.

Il raggiungimento del quorum è necessario?

Raggiungere il quorum è necessario perché solo così il risultato del referendum sarà valido, come previsto dall’articolo 75 della Costituzione Italiana. Per essere valido devono andare a votare minimo il 50% degli aventi diritto.

Perché c’è solo un quesito referendario?

Le piattaforme interessate dal referendum
Le piattaforme interessate dal referendum

Nel settembre del 2015, Possibile, il movimento fondato da Giuseppe Civati, aveva promosso otto referendum ma non era riuscito a raccogliere le 500mila firme necessarie per chiedere un referendum popolare. Poche settimane dopo, dieci consigli regionali (Abruzzo, Basilicata, Marche, Puglia, Sardegna, Veneto, Calabria, Liguria, Campania e Molise) hanno promosso sei quesiti referendari sulla ricerca e l’estrazione degli idrocarburi in Italia. Successivamente l’Abruzzo si è ritirato dalla lista dei promotori. A dicembre del 2015 il Governo ha proposto delle modifiche alla legge di stabilità sugli stessi temi affrontati dai quesiti referendari; per questo la Cassazione ha riesaminato i quesiti e l’8 gennaio ne ha dichiarato ammissibile solo uno, perché gli altri sette sarebbero stati affrontati dalla legge di stabilità. Sei consigli regioni (Basilicata, Sardegna, Veneto, Liguria, Puglia e Campania) contestano al Governo di aver legiferato su una materia che è di competenza delle regioni in base all’articolo 117 della Costituzione, modificato dalla riforma costituzionale del 2001. Se la Corte Costituzionale accogliesse i ricorsi delle regioni, i due quesiti referendari che prima non erano stati ammessi tornerebbero a essere validi e in seguito saranno sottoposto agli elettori. I due quesiti riguardano delle tematiche altrettanto importanti e delicate: il “piano delle aree” (ossia lo strumento di pianificazione delle trivellazioni che prevede il coinvolgimento delle regioni, abolito dal Governo dalla legge di stabilità) e la durata dei titoli per la ricerca e lo sfruttamento degli idrocarburi liquidi e gassosi sulla terraferma.

Uno dei mille motivi per votare “sì”

Trivellare e distruggere i fondali marini dell’Italia non risolverà la nostra dipendenza energetica dall’estero. Come ammette anche il Governo, le riserve certe di petrolio nei mari italiani equivalgono a 7-8 settimane di consumi nazionali e potremmo estrarre gas per soddisfare i consumi di 6 mesi. Oggettivamente non ne vale la pena anche perché una perdita in un mare “piccolo” come il nostro causerebbe danni ambientali, e in maniera collaterale anche economici, a tutta la penisola.

Rino Carfora

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