Reato di disprezzo sessista o offesa sessista. Oggi si definisce così quell’insieme di commenti viscidi o fischi rivolti alle donne in relazione alla loro avvenenza. Se un tempo, un epiteto tipo “bella”, “bona” o altre volgarità pronunciate da perfetti sconosciuti per strada rientravano in una sorta di tradizione popolare, ora si pagherà cara. Perlomeno in Francia, Belgio e Portogallo. Multe tra i 90 e i 750 euro, fino a 3.000 euro per i recidivi in materia di “harcèlement de rue” o “street harassement” (letteralmente molestie di strada): tale norma è stata inserita all’interno del progetto di legge sulla violenza sessuale e fortemente voluta da Marlène Schiappa, segretario di Stato francese per l’uguaglianza di genere.

Violenza contro le donne è anche quando l’uomo dice frasi come ‘te la sei cercata’ o ‘avete voluto la parità’. Fabrizio Caramagna

Cassazione, ma cosa fai?

Chi autorizza qualcuno a commentare il passaggio di un’attraente fanciulla? Rientriamo nell’ottica atavica della mentalità maschilista, del playboy “de noialtri”, del tutto ammesso/concesso, sorvolando su educazione e rispetto. Se un complimento innocente può fare piacere, è necessario non superare il limite del buon senso. Dove inizia e finisce questo famigerato limite? Ogni donna dev’essere libera di passeggiare per strada senza timore di violenze verbali e, soprattutto, fisiche. A tal riguardo, ha fatto discutere una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 32462 della terza sezione penale) per cui se una ragazza ubriaca di sua volontà viene violentata, il molestatore non avrà aggravanti, ovvero non ci sarà un relativo aumento di pena. Come si possa approfittare ed abusare di chi è momentaneamente incapace di autodeterminarsi resta un mistero. Si torna agli antichi retaggi del “sei poco vestita e provochi”, fino a “quei jeans erano troppo stretti per permettere una violenza sessuale”, “ci siamo comportati da maschietti”, “è stata lei a farmi delle avances”, “indossa o meno la biancheria intima?”. Come se la colpa del reato fosse femminile. Si sposta l’attenzione non sul comportamento lesivo attuato dal violentatore, ma sulla donna rea di non tutelarsi abbastanza. Se indossi un abito succinto, se giri di notte, se bevi o assumi altre sostanze, ti rendi vulnerabile, non sei momentaneamente capace d’intendere e di volere, conseguentemente sarai ben disponibile ad un rapporto sessuale. Sempre secondo una mentalità ristretta e subdola basata su stereotipi millenari. Il guaio avviene quando è la legge a sostenere sottilmente tutto ciò. Il focus dev’essere il consenso. Il consenso di concedere il corpo che prescinde da una visione limitante dello stesso, proposto ossessivamente dai media come oggetto sessuale.

Un crimine contro la persona

Lo stupro contiene due componenti centrali:
1) identificare un atto sessuale come non consensuale;
2) sostenere che tale atto sia indesiderato o imposto con la forza (Bourke, 2009).
Solo nel 1981, in Italia, grazie alla Legge n. 442, venne abrogato l’articolo 544 del Codice penale che ammetteva il cosiddetto “matrimonio riparatore“, ossia l’accusato di violenza carnale poteva estinguere il reato sposando la vittima, in una sorta di teatro dell’assurdo. Solo nel 1996, con la Legge n. 66 del 15 Febbraio “Norme contro la violenza sessuale”, lo stupro è stato riconosciuto come crimine contro la persona e non più contro la morale pubblica. Purtroppo persistono violenze e stereotipi: la prova concreta è fornita dagli innumerevoli casi di cronaca in cui le donne vengono ridotte a mero strumento sessuale, enfatizzando l’imprudenza femminile. Non solo la legislazione deve mutare, inasprendo le condanne, ma, in primis, è un certo tipo di mentalità a dover essere resettata attraverso l’educazione al rispetto e alla libertà.

Un obbligo dell’umanità

Probabilmente se giustizia e media si unissero nell’esporre esempi di condanne esemplari di stupratori, non sarebbe più così semplice leggere su un quotidiano una notizia di sevizie. Non a caso, negli Stati Uniti, in Russia, Canada, Corea del Sud e in alcuni Stati europei come Germania, Svezia, Finlandia, Danimarca, Francia, Belgio è in uso la castrazione chimica in maniera limitata, opzionale per controllare la devianza sessuale (in riferimento anche alla pedofilia) e subordinata al consenso del condannato. Basterà questa soluzione? Ancora oggi, sullo sfondo di un’asimmetria di potere tra i sessi rafforzata da immagini stereotipate, riecheggia un tristissimo “te la sei cercata”, a scapito di tutte le battaglie femministe. Quando basterebbe capire che un NO equivale a un NO. Prescindendo da alcol e minigonna. Concludo con le parole del Premio Nobel per la pace, Kofi Annan:

”Lottare contro ogni forma di violenza nei confronti delle donne è un obbligo dell’umanità. il rafforzamento del potere di azione delle donne significa il progresso di tutta l’umanità”.

Arianna Caccia

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