Considerata la subcultura giovanile più British di sempre, il movimento dei Teddy Boys nacque a Londra alla fine degli anni Quaranta per poi diffondersi rapidamente in tutta l’Inghilterra. Oggi la loro immagine è ricordata con una certa vena nostalgica e quasi romantica, ma nel periodo della loro massima affermazione i Teds erano dei ragazzacci assolutamente da evitare.
Le origini dei Teds

Il legame tra i Teddy Boys e il rock’n’roll divenne presto indissolubile, ma sarebbe un errore attribuire le origini di questa subcultura alla diffusione della “musica del diavolo” dall’America al Regno Unito, essendo avvenuta soltanto nel 1955. La nascita del movimento ha infatti origini ben più profonde e si può considerare un prodotto del dopoguerra. Emozionalmente impotenti, privi di modelli, sopraffatti dall’inquietudine e spaesati dall’incertezza, i giovani iniziarono ad esprimere con la violenza le loro difficoltà di reinserimento in società e nel mondo del lavoro. Poi quando le condizioni di vita cominciarono a migliorare e il boom economico all’inizio degli anni Cinquanta iniziò a facilitare la mobilità sociale, la capacità di spesa divenne però un ulteriore motivo di noia. Nacque così la necessità di darsi dei nuovi valori, costumi, stili di vita, di differenziarsi dagli adulti e dalla cultura di massa, di diventare distintivi.
Lo stile

Nel 1948 i sarti di Savile Row che avevano vestito le classi inglesi più agiate per generazioni, presero spunto dalla moda aristocratica dei dandy ai tempi del regno di Edoardo VII (1901-1910) per lanciare un nuovo look che trovò immediati consensi tra chi sentiva il bisogno di contrastare l’austerità imposta dal governo. Lo stile eccentrico venne però presto copiato anche dagli spivs, i criminali del black market: da quel momento in poi i gentleman di Londra e i laureati di Oxford smisero di vestirsi da dandy evitando di essere scambiati per teppisti. Così i ribelli noti come “cosh boys” iniziarono ad adottare lo stile eccentrico edoardiano per contrastare il grigiore del dopoguerra. Da qui il nome di Teddy come diminutivo di Edward, usato per la prima volta dal Daily Express nel 1953.

Il look, ispirato anche allo stile western, consisteva in giacche a tre quarti arabesche con risvolti in velluto, camicie da cowboy in satin, cravattini a stringa, pantaloni stretti e calzini variopinti; le scarpe erano rigorosamente dalle suole alte per attutire i colpi durante i balli scatenati. Quanto ai capelli, sulla fronte esibivano ciuffi pieni di brillantina mentre dietro formavano la cosiddetta Y o meglio nota come “duck’s arse” (sedere d’anatra) fino alla nuca. Per quanto riguarda le donne, decisamente in secondo piano all’interno del movimento dei Teds, il look era maschile, indossavano giacche sartoriali, gonne a tubo o jeans arrotolati, scarpe basse e spille in cammeo. Le Teddy Girls rifiutavano l’austerità post-guerra e in genere spendevano il loro tempo libero facendo shopping per colpire i ragazzi tanto pericolosi quanto affascinanti, senza mai tentare però di violare le leggi.
La demonizzazione

Quando il 2 luglio 1953 un ragazzo di 17 anni di nome John Beckley venne accoltellato a morte nel parco di Clapham Common da una banda dallo stile edoardiano nota come “Plough Gang”, il Daily Mirror riportò la notizia intitolando l’articolo ed etichettando per sempre la subcultura: “Coltelli a serramanico, musica da ballo e abiti edoardiani”. La demonizzazione dei Teddy Boys da parte dell’opinione pubblica fu inevitabile e da quel momento in avanti iniziarono a comparire cartelli fuori dalle sale da ballo o dai cinema con un divieto che suonava forte e chiaro: “Non sono ammessi vestiti edoardiani e calzature con le suole in gomma!”. Le restrizioni via via si estesero in tutta Londra ma gli atti di vandalismo non ebbero fine, anzi si acuirono nel 1956 quando uscì nelle sale “Il seme della violenza”, un film che raccontava una storia di delinquenza giovanile. Nei cinema, non appena iniziarono la proiezione, in sottofondo ai titoli di testa partì “Rock around the Clock” di Bill Hayley e da quel momento in poi i giovani furono incontenibili, ballando per i corridoi, provocando risse e squarciando i sedili con rasoi e coltelli. Eppure, nonostante lo spirito violento fosse insito nel movimento, i Teds nei loro atti di vandalismo avevano messo in moto un comportamento che fosse all’altezza delle aspettative suscitate dai media nei loro confronti, dimostrando di essere ciò che l’opinione pubblica si aspettava da loro. La stampa aveva dunque contribuito ad accrescere il conflitto tra i Teddy Boys e il resto della società, tant’è che addirittura nel 1958 presero parte a delle ronde razziste provocando aggressioni e danni alle abitazioni degli immigrati caraibici nonostante il loro movimento fosse del tutto apolitico.
I revival Teddy Boys
Negli anni Sessanta, i Teddy Boys dovettero affrontare la nascita di altre subculture giovanili e nonostante alcune rivalità riuscirono ad instaurare una convivenza rispettosa e pacifica con tutti. O quasi. Con i Punk infatti i rapporti non furono mai distesi, anzi furono molto aggressivi e rissosi. Secondo i Teds, il movimento Punk non era altro che un affronto, un imbastardimento inaccettabile di quel loro stile che ancora oggi è considerato senza tempo. Alla fine degli anni Settanta la subcultura iniziò a decadere, ma il movimento non si esaurì totalmente. Ne è la dimostrazione la Edwardian Drape Society, un’associazione fondata negli anni Novanta che organizza raduni e festival con lo scopo di riunire regolarmente Teddy Boy, Rockabilly, Rocker e i figli di quella generazione nel tentativo di trasmettere lo stile di vita da loro condiviso. Nonostante i propositi, non sono mai mancate però tensioni tra i Teddy Boys di vecchia e nuova generazione. Ma alla fine dei conti, possiamo ancora parlare di subculture?
Alice Porracchio

“If there’s not a rebellious youth culture, there’s no culture at all. It’s absolutely essential. It is the future”.