Nell’immaginario collettivo, il personaggio del Joker è stato interpretato molteplici volte, ma sempre come il clown psicopatico nemico di Batman che seminava terrore solo per il gusto di farlo, senza alcuna logica e giustificazione, focalizzandosi sulla pazzia omicida senza mai spiegare come questa fosse nata. Preparatevi, perché in questo film diretto da Todd Philipps non troverete il clown folle, ma un povero uomo cosciente di essere diverso in una società che lo vuole normale, un emarginato che cerca di adattarsi vivendo quotidianamente nel disagio e nel malessere sociale.

Alle origini del Joker

L’eterno cattivo è qui rappresentato sotto una luce completamente diversa: Arthur Fleck riesce ad emergere proprio partendo dalla sofferenza e dalla follia. Il background socioculturale nel quale cresce è una combinazione di traumi, abusi e maltrattamenti perfetti come base per diventare un serial killer. Vive la sua vita in una routine alienante: soffre di depressione, abita in un appartamento con sua madre, anch’essa con evidenti problemi mentali, si guadagna da vivere facendo il clown e subendo ingiustizie, vessazioni e prese in giro, ma il suo sogno nel cassetto è quello di diventare un comico e riuscire a far ridere la gente con la sua ironia. Soprannominato dalla madre “Happy” per via della risata singolare che possiede, in realtà la sua esistenza è tutt’altro che felice. La trasformazione da Arthur a Joker è graduale e sequenziale, risultato di diversi stimoli ed impulsi forniti da una Gotham degli anni ‘80 tutt’altro che idilliaca. Da uomo solo, debole e fragile, assistiamo alla trasformazione nell’individuo che accetta completamente la sua condizione (malattia e status) e riversa la rabbia contro le persone e la società che lo hanno sempre deriso ed ignorato.

Un eroe incompreso

Il suo primo delitto avviene dopo essere stato vittima di numerosi episodi di violenza nelle strade di Gotham. Non aveva mai reagito prima, ma questa volta non rimane inerme: per legittima difesa, utilizza la pistola datagli in precedenza da un collega e finalmente si tutela sparando ai suoi tre aggressori. Questa vicenda può essere collegata alla teoria del “Weapon Effect di Leonard Berkowitz, psicologo sociale, secondo il quale qualunque sentimento negativo può indurre aggressività, ma il comportamento aggressivo non è riconducibile solo alla rabbia ma anche dal dolore. “Weapon Effect” è l’aumento del sentimento di rabbia e azioni violente alla visione di un’arma. Arthur, quando uccide i tre ragazzi, lo fa grazie ad una pistola: se fosse stato disarmato molto probabilmente non sarebbe sopravvissuto. Possedere l’arma gli ha fornito la forza di agire. Per assurdo, quando reagisce commettendo il triplice omicidio, siamo quasi portati a fare il tifo per lui. Nel film la dinamica e le motivazioni dell’omicidio vengono però stravolti dalle autorità di Gotham: i tre ragazzi uccisi, infatti, sono tre finanzieri di Wall Street (per intenderci, i classici “figli di papà”), la stampa e soprattutto Thomas Wayne (padre di un giovane Batman) sono convinti che l’accaduto abbia alla base l’invidia sociale e definiscono con disprezzo “clown” (Arthur stava tornando dal suo turno al lavoro e pertanto indossava il costume da pagliaccio) coloro che non appartengono all’èlite e non faranno mai nulla di buono nella loro vita. Queste parole accendono la scintilla della ribellione: gli ultimi, i dimenticati, gli oppressi e i disadattati, e gli strati inferiori della società di Gotham scendono in piazza per protestare contro chi detiene il potere e i soldi, indossando proprio una maschera da clown, cominciando così a porre le basi di ciò che simboleggerà il personaggio di Joker nell’ambientazione del film. La situazione di totale anarchia in cui si trova la città non era stata premeditata da Arthur, bensì è la risposta immediata di persone stanche di essere alienate e stigmatizzate dalla società stessa.

La morte di Arthur e la nascita di Joker

L’abbandono in una danza liberatoria è il simbolo di un leone che esce dalla sua gabbia, pronto a dare libero sfogo a follia, odio e rabbia che ha sempre represso, vendicandosi di chi lo ha schernito. Da qui in poi assistiamo ad un declino psicologico, riuscendo però a mantenere una morale e un senso di giustizia del tutto soggettivo. Arthur uccide il collega responsabile del suo licenziamento ma risparmia la vita al collega affetto da nanismo dicendo “sei sempre stato buono con me”. Ciò accade anche in maniera enigmatica con la sua vicina di casa, Sophie, protagonista di numerose allucinazioni in cui lei ed Arthur erano una coppia. Cosa che pensavano anche tutti gli spettatori, rimasti scioccati nello scoprire che in realtà fosse tutto nella sua testa. Altro episodio violento è l’uccisione di sua madre quando scopre di essere stato adottato e di aver alle spalle un’infanzia che lo ha reso ciò che è ora: abusi e maltrattamenti gli hanno provocato una lesione al cervello (causa della sua peculiare risata). Joker non è un cattivo assoluto, bensì un caotico neutrale, nel senso che ci troviamo di fronte ad una persona imprevedibile, una bomba ad orologeria. Sociopatici ed asociali tendono a restare nel proprio, solitamente posseggono una personalità di base poco incline alla violenza, ma di risposta violenta a determinati stimoli.

Le malattie di cui soffre esistono realmente?

L’effetto collaterale della sua infanzia gli ha provocato una ferita cerebrale, causa della sua risata isterica incontrollabile e a volte inappropriata: è costretto a portare sempre con un se un biglietto per informare la gente della sua condizione per evitare fraintendimenti. Nel film non viene nominata, ma questo disturbo è una sindrome chiamata “pseudo bulbare”: è il risultato di danni alla corteccia prefrontale, infortunio o malattia che lesiona le membrane cerebrali, proprio come è successo al nostro protagonista. Le persone che ne sono affette tendono ad isolarsi in preda all’ansia per poi rinchiudersi in uno stato di depressione, proprio come succede ad Arhur: la sua depressione è una conseguenza della malattia, in quanto vi è un perenne imbarazzo per paura di avere una crisi in qualsiasi momento. La sindrome ha un forte ascendente su come le emozioni vengono espresse e non su come vengono provate: un leggero sorriso o tristezza viene trasformata nell’esasperata risata o in un pianto isterico, scena che avviene quando Arthur è sull’autobus e cerca di far sorridere un bambino, ma la madre di quest’ultimo lo riprende e lui imbarazzato cerca di trattenere, pur non riuscendo, l’esplosione della risata.

Anomia e devianza alla base del film

La parte finale del film potrebbe riassumersi con due concetti: anomia e devianza. Contributi alla sociologia di Robert Merton, funzionalista americano, sono molti, ma quello più portato per la spiegazione di questo film è la “teoria della devianza”, secondo la quale essa deriva da una mancanza di congruenza fra valori e chances di vita. Per sviluppare questa teoria, il sociologo americano utilizza i concetti di mete culturali e mezzi istituzionalizzati, impiegando il concetto di anomia come variabile indipendente. Per quelle persone che non dispongono dei mezzi per raggiungere un determinato traguardo (come analizzato da Merton stesso, in America solitamente è il successo economico, l’american dream) ne deriva un forte stato di tensione che genererà devianza e, a lungo termine, anomia. Durkheim sostiene che l’anomia è uno stato patologico della società: significa letteralmente “mancanza di norme”, dunque una situazione in cui sono assenti regole e leggi. A suo giudizio, una situazione può essere dichiarata anomica quando una crisi o un cambiamento sociale improvviso determina una discontinuità fra l’esperienza delle persone e le loro aspettative. Nel film ciò avviene in maniera graduale con l’uccisione dei tre ragazzi e del presentatore dello show che lo aveva invitato solo per fare ascolti e ridicolizzarlo davanti a tutta l’America. Specialmente da quest’ultimo evento, Gotham si è trasformata in una folla anomica di persone mascherate da clown come in segno di rivolta, eleggendo Joker come leader, ribaltando la loro posizione da cittadini dimenticati a mandria di tori impazziti, commettendo ogni atto criminale e deviante (tra cui l’uccisione dei genitori del piccolo Bruce). Nelle ultime scene vige l’anarchia più totale. Se Durkheim vedeva la società moderna come afflitta da anomia, per Marx era caratterizzata dall’alienazione. Il concetto di anomia, sia nel funzionalismo che nella teoria del conflitto, è di rilevante importanza, tuttavia mentre Durkheim enfatizza il bisogno di norme sociali condivise e stabili, Marx vede l’alienazione come il risultato di un ordine sociale che controlla strettamente gli individui, ritenendo inoltre che l’umanità abbia bisogno di maggiore libertà alle regole. È possibile definire questo film come una crasi di queste teorie, un capolavoro con l’interpretazione profonda ed oscura di un meraviglioso Joaquin Phoenix che lascia tutti senza fiato, un film riflessivo, che permette allo spettatore di empatizzare con il protagonista e con chi vive situazioni di disagio sociale, ma al tempo stesso lascia tutti disorientati ed angosciati.

Claudia Leonardi

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