La subcultura punk rappresenta il più grande fenomeno spettacolare di ribellione e di provocazione contro la società e la borghesia che ci mai stato nella storia (Moore, 2004).

Una musica alternativa

Nato nella seconda metà degli anni Settanta in Inghilterra, il movimento punk ebbe una tale rilevanza da influenzare numerose forme d’arte e aspetti culturali di quel periodo, dalla letteratura fino al cinema. L’aggettivo “punk” fu originariamente utilizzato dalla critica musicale per descrivere la musica autoprodotta dei gruppi garage, che suonavano canzoni con accordi essenziali e componevano testi violenti. Queste band agli inizi degli anni Settanta crearono un circuito di distribuzione alternativa a quello mainstream, prediligendo le scene locali a quella nazionale, e rifiutando i canoni musicali imposti dalle culture dominanti. I giovani della working class inglese iniziarono a sostenere tenacemente l’etica anticonformista di questi artisti, fino a diventare il loro pubblico. Nacque così la subcultura punk, che fu un fenomeno talmente di massa da far diventare alcune garage band delle vere e proprie leggende della musica (come i Sex Pistols e i The Clash).

Tra visione del mondo e abbigliamento

I punk rifiutavano qualsiasi forma di autoritarismo, di cultura e di controllo imposto dalla società, e si presentavano con uno stile che andava contro tutti i canoni della moda. L’abbigliamento punk era caratterizzato da vestiti strappati, catene al collo, piercing, tatuaggi, creste e ciuffi colorati. Indossavano anche abiti borghesi come la giacca e la cravatta, per poi ironicamente riempirli di spille da balia e borchie. Nessuna subcultura ha cercato con più cupa determinazione di staccarsi dal paesaggio dato per scontato delle forme normalizzate, e di proclamare così tanto il proprio analfabetismo spingendo la profanazione ad estremi così sensazionali (Hebdige, 1983). I punk teatralizzavano quello che per loro era la decadenza dell’Inghilterra e si presentavano come dei degenerati, per rappresentare la condizione atrofizzata in cui si trovava il paese. Tali proposizioni, per quanto bizzarramente siano state costruite, erano fuse in un linguaggio che era accessibile a tutti. Questo può spiegare il successo della subcultura punk, che divenne la voce di un’intera generazione che aveva voglia di urlare un intero agglomerato di problemi di quel periodo. Ma il caos ad ogni livello che portarono i punk nella società inglese fu possibile soltanto perché il loro stile era perfettamente ordinato, fatto di elementi coerenti che avevano dei significati ben precisi (Hedbige, 1979). Sarà questa la più grande contraddizione della subcultura punk, che nonostante ciò, incarnerà il più spettacolare rifiuto nei confronti della società che ci sia mai stato.

Il punk in Italia e la subcultura punx

Il movimento punk apparve in Italia durante i primi anni Ottanta, sviluppandosi nelle città del nord e assumendo caratteri peculiari e locali molto lontani dalla matrice ideologica inglese. I primi punk italiani che emulavano lo stile britannico non furono molto compresi nel nostro paese, e soprattutto, non riuscirono ad imporsi come fenomeno subculturale. Fu allora che in Italia si sviluppò uno stile tutto nostrano: i “Punx”, che prediligevano il sottogenere del punk hardcore, rispetto al classico punk rock. I Punx avevano un abbigliamento meno provocatorio rispetto ai punk inglesi, ma provenivano anche loro dalle fasce più povere e disagiate della popolazione. La subcultura punx si sviluppo nei centri sociali di tutta Italia (altro fenomeno specificatamente nostrano), e si distinse per il suo impegno politico e le sue lotte contro il capitalismo. La scena italiana punk hardcore degli anni Ottanta fu un punto di riferimento per gli appassionati di questo sottogenere in tutto il mondo, e, assieme a quella svedese, è considerata ancora oggi la più importante (Ventsel, 2008). Gruppi come i valdostani Kina e i torinesi Negazioni hanno suonato persino in tutta Europa, e venduto migliaia di dischi.

Simone Nigrisoli

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