Il calcio è qualcosa di più di uno sport, a volte è una vera e propria fede. Se la domenica gli italiani vanno meno a messa, come dicono le statistiche, di sicuro frequentano ancora volentieri lo stadio. Seduti tra i banchi delle chiese o tra gli spalti dell’Olimpico, poco importa: sono sempre in alto i loro cuori, ma rivolti in un caso al Signore e nell’altro alla loro squadra. Proviamo a vedere alcune analogie tra religione e calcio, guardando anche al recente addio alla Roma di Francesco Totti.

La religione per Durkheim

Émile Durkheim
Émile Durkheim

Quando i sociologi parlano di religione non pensano solo a religioni come il Cristianesimo o l’Islam. Ai loro occhi la religione è un fenomeno più generale, composto da ingredienti essenziali come simboli sacri e rituali che creano senso d’identità e d’appartenenza alla comunità. La religione, inoltre, si può trovare nelle chiese ma anche in luoghi meno ovvi, come gli stadi. Émile Durkheim (1858-1917) è stato tra i primi ad estendere l’idea di religione ad aree lontane da quelle comunemente considerate religiose. Per il sociologo francese la religione è un fenomeno che riguarda una collettività ritualmente riunita attorno a qualcosa di sacro. Non ci sarebbe differenza, per esempio, tra cristiani che celebrano il Natale e cittadini che festeggiano la fondazione dello Stato. Questo approccio permette di trovare tracce di religiosità anche nel mondo secolare.

La religione del pallone: fedeli o tifosi?

Tifosi in festa per un gol
Tifosi in festa per un gol

Le analogie tra calcio e religione sono moltissime. In fondo, devoti e tifosi hanno entrambi una fede, che significa, scrive Durkheim, “calore, vita, entusiasmo, esaltazione di tutta l’attività mentale, trasporto dell’individuo al di sopra di se stesso”. Come non vedere l’esaltazione, il fervore religioso dei tifosi? Ma analizziamo meglio alcuni punti di contatto tra calcio e religione. Una religione crea senso d’identità e d’appartenenza. Il calcio, come la religione, avvicina, unisce, fa sentire le persone parte di una comunità. Persino in una società individualista come la nostra, un gol della squadra del cuore può far gioire insieme degli sconosciuti. Il calcio è un collante sociale, livella le differenze creando condizioni d’uguaglianza che favoriscono il senso comunitario: allo stadio svanisce il direttore, l’impiegato o l’operaio e restano soltanto tifosi, tutti uguali e uniti dalla passione per la squadra del cuore. Come tra i fedeli di una religione, è malvista la conversione ad un’altra religione, così i tifosi provano un vincolo di fedeltà verso la propria squadra (guai a cambiare maglietta).

I rituali

Come ogni religione, il calcio ha i suoi rituali. Sono frequenti quelli di tipo propiziatorio: i tifosi possono portare con sé amuleti portafortuna, come una sciarpa o la maglietta con il numero del calciatore preferito. Soprattutto evidenti sono i riti collettivi come i cori e le maestose scenografie dei corpi mossi all’unisono sugli spalti, che creano la sensazione di un corpo unico, di una comunione rituale che trasporta gli individui al di sopra di loro stessi, fondendoli nella comunità. Anche i calciatori hanno i loro rituali: come monaci in un convento, vanno in ritiro, separandosi dal mondo e rispettando regole di astinenza, per esempio sessuale, e in campo eseguono riti scaramantici.

Il pallone sacro di “San” Francesco Totti

Murales dedicato a Totti realizzato in occasione dello scudetto del 2001
Murales dedicato a Totti realizzato in occasione dello scudetto del 2001

Una religione non esiste senza simboli sacri: la bandiera, la sciarpa, il gagliardetto e soprattutto il simbolo della squadra stampato su questi oggetti. Ma per i tifosi romanisti è sacro anche il pallone su cui Francesco Totti, dopo l’ultima partita prima di ritirarsi dalla Roma (domenica 28 maggio 2017), ha scritto “Mi mancherai” e il suo autografo. Mentre nello stadio risuonava il canto “Roma Capoccia” di Antonello Venditti, dopo un momento di raccoglimento a testa china e in silenzio, il capitano della Roma ha lasciato cadere dalle mani il pallone, calciandolo tra gli spalti. Un fortunato tifoso è riuscito a prenderlo. Sono state molte le offerte in denaro, ha raccontato, ma le ha rifiutate: “Per me è sacro. Non ha prezzo, non me ne separerò mai”. Non sarebbe stato un mercimonio? Una vera profanazione? Il denaro non può nulla contro il sacro: Gesù ha riconsacrato il tempio scacciando via i mercanti che vi facevano affari. Persino il denaro può essere consacrato: un negoziante a cui Papa Francesco aveva dato cinque euro racconta di aver conservato quel denaro, che probabilmente non spenderà mai.

Ma Papa Francesco è il vicario di Cristo e possiamo capire che quanto tocca possa essere contagiato dalla sua sacralità. Ma il pallone di Totti? Dobbiamo ammettere che se è sacro, allora lo è anche “il capitano”, perché solo una persona sacra ha il potere di consacrare. Il teologo Leonardo Boff, alla vigilia dei Mondiali 2014, ha scritto che nel calcio come nella religione esistono “santi di riferimento come Pelé, Garrincha, Beckembauer”. E possiamo ora aggiungere: come Francesco Totti. Santo ai romanisti, icona della religione del pallone.

Nicola Righetti

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