Sociologo, fotografo, appassionato della vita in tutte le sue forme. Questo e tanto altro è Marco Tancredi. Classe ’86, potentino di nascita ma napoletano di adozione, Marco è riuscito nella non facile impresa di far diventare un lavoro non una bensì due delle sue più grandi passioni: la sociologia e la fotografia. Quello che ne scaturisce da questo connubio è il “fotografo sociale”, come ama autodefinirsi. Una persona attenta a tutte le problematiche della società contemporanea e pronta a registrare minuziosamente il tutto con un rapido “clic” della sua macchina fotografica. Da sempre vicino a fenomeni di esclusione sociale e discriminazione, Marco Tancredi nel corso degli anni si è avvicinato sempre più all’universo della comunità LGBT (Lesbiche, Gay, Bisessuali, Trans) e alla sua battaglia per quei diritti che dovrebbero essere universalmente riconosciuti e che invece sono troppo spesso negati. La sua prima mostra fotografica si è focalizzata proprio su questi temi. L’omotransfobia, la discriminazione e la marginalizzazione della comunità LGBT. Human (P)Rights, questo il nome della mostra – tenutasi a Napoli nel maggio scorso – è stato un vero e proprio successo. Forse inaspettato ma sicuramente meritato. E a 7 mesi dal suo esordio, Marco Tancredi non ha nessuna intenzione di interrompere il messaggio di cui si è fatto portavoce. Dal 5 al 17 dicembre infatti, nella splendida cornice di Santa Cruz de Tenerife in Spagna, Human (P)Rights torna con tutto il suo carico di colori, significati ed emozioni. Ed è proprio Marco Tancredi, in esclusiva per Sociologicamente.it, a raccontarci quello che si prova nel portare la sua arte in giro per l’Europa.

Laureato in sociologia e con la passione per la fotografia: due mondi apparentemente lontani ma più vicini di quanto si pensi. Come è nata questa passione per “fermare” la vita?

Marco Tancredi consegna una sua foto al sindaco di Napoli Luigi de Magistris
Marco Tancredi consegna una sua foto al sindaco di Napoli Luigi de Magistris

Credo di aver sempre avuto qualcosa dentro di me che però non ho mai sviluppato fino a qualche anno fa. Come se avessi una vocina dentro che cercasse di dirmelo ma che non ho mai considerato. Tuttavia non ho un ricordo ben preciso di quando ho iniziato a scattare. Ricordo solo che, fin da piccolo, mio padre cercava di immortalare e filmare ogni nostro momento importante. Deve essere stato così, per imitazione, che ho iniziato a scattare. Mi considero un grande osservatore e cerco sempre di cogliere tutto ciò che mi circonda. La fotografia è soprattutto espressione della mia sensibilità ed è forse per questo che c’è un profondo legame con ognuna di esse. Mostrarle agli altri, all’inizio, non è stato facile ma ora sono felice di condividere attimi della mia vita, pezzi della mia sensibilità con altre persone. Ho imparato e continuo ad imparare molto dal confronto con gli altri e sono convinto che la fotografia, così intesa, possa essere uno strumento molto utile per costruire e diffondere una cultura migliore e più inclusiva.

In questo particolare momento storico, in cui si fatica a trovare la propria strada e sempre più spesso si dice che il lavoro occorre inventarselo, tu sei riuscito a mettere insieme due delle tue passioni: quella per la sociologia e l’amore per la fotografia.

Una delle foto esposte alla mostra Human (P)Rights
Una delle foto esposte alla mostra Human (P)Rights

All’epoca della scelta della facoltà, decisi di iscrivermi ad un corso di laurea che mi permettesse di confrontarmi con delle realtà che non conoscevo ma che erano molto vicine a me. La sociologia mi ha permesso di entrare in contatto con delle realtà “altre” di cui spesso sentiamo solo parlare in modo approfondito solo sui libri ma che poi, nella vita di tutti i giorni, non vogliamo vedere. In particolare sono le problematiche sociali ad aver catturato sempre il mio maggiore interesse. Tossicodipendenza, abbandono scolastico, giovani a rischio, donne vittime di tratta, inserimento di culture “diverse” nel nostro paese e, ultima ma non ultima, i diritti civili della comunità LGBT. Ed è proprio qui che entra in scena la fotografia. Nel corso della mia vita ho sempre notato che un problema non lo si capisce fino a quando non riguarda anche noi. Allora ho pensato e sentito il bisogno di mostrare attraverso la macchina fotografica quanto possa essere grande questa sofferenza e quanto noi tutti siamo responsabili. Ecco che, soprattutto quando si parla di diritti civili, mi piace pensare di riuscire ad unire la sociologia e la fotografia per un fine più importante che è quello del sociale, della valorizzazione delle “differenze” e della promozione di una cultura dell’uguaglianza.

Com’è nata l’idea di Human (P)Rights?

La locandina di Human (P)Rights a Napoli
La locandina di Human (P)Rights a Napoli

L’idea di questa mostra fotografica nasce dalla necessità e dal desiderio di mostrare a quante più persone possibile quanto sia forte la sofferenza a cui costringiamo le persone della comunità LGBT e quanto sia grande il desiderio delle stesse di uscire da questa situazione di marginalizzazione. Ho iniziato ad interessarmi alle dinamiche che coinvolgono la comunità LGBT molti anni fa, durante un tirocinio presso una cooperativa sociale, durante il quale ho fatto parte di un’equipe di strada che si occupava di donne vittime di tratta ma soprattutto di prostituzione riferita alle persone trans. Human (P)Rights si carica di importanza proprio perché deve avere l’obiettivo di mostrare l’assurdità della lotta a cui la comunità LGBT è costretta, ogni giorno, per cercare il posto nella società che spetta loro di diritto come per tutti gli altri. Omosessuali o eterosessuali che siano, le persone sono persone e nessuno deve o può arrogarsi il diritto di scegliere per loro.

Dopo il successo ottenuto a Napoli, ora una nuova sfida: far conoscere ed apprezzare la tua arte anche fuori dall’Italia. E lo fai in un paese, la Spagna, da sempre molto sensibile a questo tipo di tematiche sociali.

Una delle foto votate come più emozionante
Una delle foto votate come più emozionante

Portare Human (P)Rights all’estero non è affatto semplice come può sembrare. Certo, la soddisfazione è grandissima e non nego di essere molto emozionato. Tutte le persone che vivono la fotografia come faccio io guardano ad eventi come questo con molto entusiasmo ma anche con molta paura. Portare Human (P)Rights in Spagna, poi, rende tutto ancor di più una grande scommessa, una bella scommessa. In occasione della sua inaugurazione a Napoli nel maggio scorso, la mostra ha avuto un grande successo sul quale, non lo nego, non ci avrei mai scommesso anche se, in un certo senso, ci ho sperato. Ci ho sperato perché ho sempre sostenuto che un messaggio è tanto più efficace quanto più lo si riesce a rendere fruibile e penso che avvicinarsi alle problematiche che scaturiscono dalla comunità LGBT attraverso delle fotografie possa davvero diventare un canale efficace. La Spagna, però, è sicuramente un Paese più avanti rispetto all’Italia e immagino di dovermi aspettare un pubblico sicuramente più abituato. Ad ogni modo mi auguro di poter tornare in Italia e continuare a diffondere questo mio messaggio di uguaglianza, di integrazione e di educazione alle differenze anche nel mio Paese che tanto ancora ha da conoscere e da imparare.

Dario Mastellone

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