È il 6 gennaio 2021. Almeno un poco siamo tutti negli Stati Uniti d’America – per lo meno come osservatori – quando a Washington, nella sede del parlamento americano, i membri delle due camere, Senato e Congresso, si trovano in seduta congiunta per validare la conta dei voti espressi dai grandi elettori dei 50 Stati nelle elezioni del novembre 2020. Ma qualcosa va storto, quindi a Capitol Hill, tra i marmi del tempio delle libertà costituzionali americane, irrompono migliaia di militanti: sono i trumpisti, i sostenitori del Presidente uscente Donald Trump.
Dall’ordinarietà dei capi americani alla straordinarietà dell’outsider: il caso Trump
Nel partito repubblicano ce ne sono stati pochi di veri capi carismatici nell’accezione negativa (se non nessuno al suo interno), eppure Donald Trump si è rivelato essere un outsider: è stato un’eccezione a livello di personalità come leader politico americano.

Già dalle prime interviste nel 2016 si erano palesati nitidamente quegli aspetti che rendono diverso Trump da tutto il resto del mondo repubblicano fino ad allora conosciuto. Le caratteristiche salienti, proprie di Donald Trump, si sono mostrate attraverso le sue parole (quindi nei suoi messaggi) e nei suoi atteggiamenti: un uomo, ma forse prima ancora un personaggio, caratterizzato da inesperienza politica e razzismo non celato; quest’ultimo elemento si è posto così in disordine, o meglio in disequilibrio, rispetto alle posizioni del partito repubblicano tout court. Per i suoi sostenitori, Donald Trump ha rappresentato, personificato, incarnato un uomo reale, che parla direttamente al Popolo senza false promesse.
Terzo Millennio: l’origine dei sentimenti negativi e dei valori delusi e traditi nel Popolo
Parole rivolte direttamente al Popolo americano. Sì, ok, ma che tipo di parole e quale “Popolo” sono il focus di Donald Trump? Riavvolgendo il nastro, si può osservare che – in poco più di quattro anni di storia americana sotto la presidenza Trump al centro e campagne elettorali agli estremi (2016-2021) – l’America ha visto fiorire un movimento che da due decenni bolliva in pentola, fatto da persone deluse dal mito dell’American Dream, indebolitosi e immaginato scricchiolante negli animi di milioni di individui americani, a partire dall’alba del Terzo Millennio, al cui sorgere quasi immediatamente abbiamo assistito con occhi attoniti al crollo delle Twin Towers a New York (l’11 settembre 2001) a causa di un attacco terroristico ordito da Al Qaeda.

E quella ferita non si potrà mai rimarginare. Ma nell’immaginario collettivo del Popolo si è poi fatta avanti e radicata anche l’idea di vivere perennemente in crisi, perché un’atra ferita che si è aperta in seguito – entro il primo decennio del XXI secolo – è stata quella costituita dai fatti attorno ai mutui subprime che hanno fatto ulteriormente crollare gli animi a causa della crisi economica che da lì in avanti si è aperta. Tutto questo dolore qualcuno l’aveva raffreddato, congelato al punto giusto da non farlo morire del tutto, ma anzi pronto a ritornare in modo caloroso alla ribalta non appena un uomo reale si fosse presentato sulla scena mediatica e politica – in breve nelle istituzioni – con un pretesto, o meglio con una promessa.
Dopo il dolore del 2001, una cronologia dell’odio nei discorsi di Trump del 2015
E così grazie alla figura di Donald Trump, sono riaffiorati tutti quei sentimenti repressi e quegli atteggiamenti – legati anche all’odio – che non si potevano esprimere (perché not politically correct). Non a caso, poco più di un anno prima dell’inizio della campagna elettorale del 2016, Trump aveva già iniziato a far echeggiare la sua voce e le sue idee nelle teste degli americani… con queste parole:
“Il governo messicano sta portando le persone più indesiderate negli Stati Uniti. Sono, in molti casi, criminali, spacciatori di droga, stupratori, ecc.” (6 luglio 2015)
Affermazioni che sono altamente pericolose, perché sono dei concetti che potenzialmente in ogni persona di pelle bianca possono diventare un punto fisso che annebbia la mente, quindi la razionalità, e che porta a vari stati emotivi poi agiti anche per mezzo della violenza diretta contro questo o quell’altro “nemico invasore”.

Passa poco tempo, si arriva al 2016, e Trump ha affinato la sua retorica: Donald ha ampliato l’individuazione dei nemici e in questo caso è pronto a colpire i mussulmani con affermazioni che lo vedono favorevole a chiudere le moschee e a creare un database specifico per loro. E così ritorniamo alla domanda all’origine del movimento trumpista, il trumpismo: a quale Popolo si è sempre rivolto Trump con i suoi discorsi?
Dall’odio ai fatti concreti: a Capitol Hill la violenza dei sostenitori di Trump
Pocanzi si accennava alla presenza nelle persone bianche di almeno un barlume di razionalità, o meglio di un sano principio di realtà, che – se ben orientato – sappia mitigare le emozioni negative (ad esempio legate alla frustrazione), grazie ad una capacità di adattare il soddisfacimento del desiderio alle situazioni avverse. Ma i fatti verificatisi a Capitol Hill nel primo pomeriggio del 6 gennaio 2021 hanno dimostrano quanto il principio di piacere possa prevalere su quello di realtà così da commettere azioni cariche di energia violenta e di irriverenza.

Nella sede del parlamento americano hanno fatto irruzione i sostenitori di Donald Trump, i trumpisti, che paradossalmente in contrasto con quanto messo in atto (violenza prostrata tra i marmi del tempio delle libertà costituzionali americane) non volevano il ritorno del dolore vissuto in 16-17 anni di inizio Terzo Millennio senza le promesse di Trump, senza il loro uomo reale.

Le migliaia di militanti si erano appena eccitati durante un comizio di Trump stesso, dove il Presidente uscente aveva ribadito la sua intenzione di non concedere la vittoria a Joe Biden, l’uomo dei Democratici che lo ha legittimamente battuto nelle elezioni di novembre 2020. La voglia del leader politico di rimanere al suo posto illegittimamente e la sollevazione del suo Popolo per tenere lo stesso Trump al suo posto, nelle istituzioni, ha fatto sì che migliaia di questi ultimi trumpisti si mettessero in marcia verso il Campidoglio al fine di interrompere la seduta del Congresso per il passaggio formale con cui il Congresso si stava preparando ad investire della sua carica Joe Biden, il Presidente eletto, due settimane prima del suo giuramento.
Trumpismo, trumpisti
In poche parole, i trumpisti con il loro impegno ad assurgersi a movimento sociale potrebbero essere discussi a livello sociologico indossando le lenti di Manuel Castells, il teorico dei tre tipi dei movimenti e delle identità sociali che nascono in risposta alla globalizzazione dei flussi e dei network di informazione. Il primo tipo è basato sulla legittimità, per cui, sovrascrivendo la teoria di Castells in merito a questo recente trumpismo, notiamo che questo modello di movimento – e rispettiva identità – si erge dal basso della sua distorsione dell’incipit della Costituzione “We the people” che risuona nelle camere dell’eco online per poi propagarsi velocemente nell’offline (una marcia) così da diventare verità e realtà.
I trumpisti si sono generati da Trump, da Donald Trump e basta, o meglio da Trump e se stessi (individualismo americano). Qui emerge l’eccezione che conferma la regola. Castells si era prefigurato un tipo dei movimenti e delle identità legittimanti manifesto nelle istituzioni dominanti della società e generato, tra gli altri, dai partiti politici, dai quali Trump si è però discostato.

I corpi dei trumpisti si sono costituiti nella società civile, fuori dagli organismi dello stato ma che hanno legittimo accesso al potere statale. Nella discussione di Castells si prosegue con la trattazione di altri due tipi di movimenti e identità sociali: di resistenza, l’uno, e di progetto, l’altro. In questa prospettiva, il tipo dei movimenti e delle identità resistenziali trova la sua base nel fondamentalismo religioso, nella razza ed etnia, nella cultura dei gruppi esclusi.
QAnon, Proud Boys e molto altro
Sulla scia di questa lettura del fenomeno sociale che stiamo denominando Trumpismo è possibile rintracciare le promesse e le convinzioni che si muovono nell’animo di Donald Trump trasferitesi nell’immaginario dei suoi milioni di sostenitori, appartenenti anche a sette o gruppi estremisti di vario genere (QAnon e Proud Boys sono solo due esempi), che hanno dato forma e sostanza al movimento che di seguito interpretiamo liberamente (basandoci sulle fonti di Thompson D. su The Atlantic) con alcuni motti rappresentativi: <<Vogliamo tornare ad essere una Nazione con un ideale di individualismo dove è inconcepibile il fallimento e dove se vieni licenziato o se sei disoccupato non conti come individuo perché non generi profitto!>>, e ancora: <<Trump sei la nostra unica speranza! Sei la speranza di Noi il movimento… Noi, il popolo reale>>.

Le voci mischiate in questi ipotetici motti (che sono un condensato di concetti estrapolati dai mass media e dai new media) appartengono agli individui che compongono il popolo bianco deluso dall’American Dream. Il popolo che è voluto rinascere e sopravvivere in questo nuovo ordine mondiale al quale contrapporsi al fianco di Donald. Sono sostenitori che, 14 giorni prima dell’insediamento di Biden, hanno attaccato la democrazia americana a causa dei messaggi ambigui lanciati da Trump stesso al suo elettorato, così da aver fomentato e incentivato un terrorismo interno con parole quali: “Stand Back and Stand By” (ovvero, “State in retroguardia ma state in allerta”).
La politica personale di Donald Trump e le “riparazioni” che dovrà mettere in atto Joe Biden
Trump ha scatenato una guerra contro le istituzioni democratiche, ha trasformato la presidenza in un reality show in cui sono state concesse accuse e prepotenze (<<L’Internazionale>> supplemento speciale, “La vittoria di Biden”).

Tuttavia, stiamo parlando dell’Occidente e di quella che fino a prova contraria è stata ed è una Nazione che ha esportato la democrazia nel mondo, nonostante le sue fratture, divisioni interne visibili e ferite che non si rimarginano nel breve periodo, provenienti da secoli di disuguaglianze ed oppressione. Quello a cui abbiamo assistito è stata una polveriera che è esplosa: la polvere da sparo era già lì con organizzazioni storiche di nazionalisti bianchi, con politiche molto discutibili sul piano democratico, in quanto atteggiamenti di oppressione e discriminazione, troppo spesso hanno avuto la meglio (in particolare nell’ultima amministrazione Trump). Sarà compito di Joe Biden ribaltare le politiche di Donald Trump, riportando l’orologio d’America indietro di quattro anni.
Simone Frezzato e Giulia Ricci
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