Le persone che ogni anno si muovono nel mondo sono più di 1,4 miliardi, cifra che si prevede supererà i 2 miliardi entro il 2030. Negli ultimi decenni, uno dei continenti che ha fortemente vissuto questa fenomenale crescita turistica è l’Asia. La turistificazione del territorio ha avuto un forte impatto economico al suo interno, ma non solo.

Negli anni la trasformazione ambientale e culturale di certe aree ha imposto importanti mutamenti ai residenti locali: la trasformazione del volto urbano, le politiche economiche per incentivare la turistificazione dei luoghi più attrattivi, le pratiche culturali locali che sono progressivamente mutate con l’obiettivo di adattarsi al paradigma di vita occidentale, sono tutti flussi di trasformazione prodotti da questo incredibile impulso turistico degli ultimi decenni.

Turistificazione come cambiamento culturale

I cambiamenti culturali e ambientali che stanno avvenendo nei pressi delle più importanti località turistiche asiatiche, infatti, sono frutto di esigenze sociopolitiche che si concretizzano attraverso un rinnovamento urbano fatto di nuovi progetti abitativi e urbanistici e di piani politici istituiti per la costruzione di una linea statale che incentivi il turismo occidentale.

Con il tempo, in seguito alla modifica della facciata degli insediamenti urbani, alle trasformazioni economiche, e all’impulso turistico, l’Asia ha infatti ceduto parte del suo patrimonio culturale e ambientale omologando la propria identità per compiacere il mercato turistico occidentale, fortemente redditizio per molti paesi del continente.

Il turismo come mezzo di costruzione identitaria indonesiana

La smisurata crescita turistica, inoltre, è andata di pari passo con l’eliminazione delle politiche che ne regolamentano e gestiscono l’impatto. Ad esempio, l’Indonesia negli ultimi vent’anni è diventata un’importante meta turistica per gli occidentali, e pur essendo uno stato con un’identità vasta e multiculturale, il potere statale ha incentivato un processo di cristallizzazione delle identità localizzate del paese per renderle più riconoscibili e apprezzabili dal turista occidentale medio, trasformando parte dell’Indonesia (soprattutto il sud) in una sorta di parco divertimenti costruito ad hoc per i turisti.

Con questo obiettivo, negli anni lo Stato Indonesiano ha costruito una narrazione culturale e sociale del paese “su misura” per il turista occidentale, all’interno di un discorso storico, politico, e sociale in grado di integrarsi perfettamente con la storia culturale del paese, e al tempo stesso capace di mantenersi appetibile per gli stranieri. La centralità statale nella costruzione di una cultura fittizia è un tipo di pratica influenzata dal modello cinese, dove la dottrina della centralizzazione influenza fortemente le decisioni sulla riqualificazione delle città a fini turistici.

Il caso dell’isola Sulawesi

Ad esempio, dagli anni ’70, per diffondere il turismo nelle province più remote, lo Stato indonesiano ha offerto al mercato un’immagine fortemente esotizzata dei popoli e delle tradizioni locali dell’isola Sulawesi, cosa che ha avuto un forte impatto sulla comunità Toraja, che è una popolazione che vive negli altopiani del sud dell’isola: le tradizioni locali di questo popolo sono state raccontate  in modo tale che coincidessero con l’immagine “esotica” che il turista aveva di essi, spacciando la cultura Toraja per una cultura più colta di altre comunità etniche regionali, oggettificando e mercificando la presenza questo popolo nell’isola.

Il risultato è che ad oggi esistono centinaia di tour e pacchetti viaggio per visitare il villaggio Toraja, sponsorizzati attraverso alcune delle più importanti piattaforme online che si occupano di turismo.

Il caso di Bali

Anche la cultura Balinese, così come è percepita nell’immaginario collettivo occidentale, è il risultato del flusso turistico che si è intensificato negli ultimi quarant’anni nel paese. Le tradizioni balinesi che oggi conosciamo infatti sono un’amalgama commerciale di varie linee culturali locali, spesso diverse tra loro, ma con elementi comuni a tutta la nazione, ibridate per creare un’identità che potesse essere commercializzabile per scopi turistici sottoforma di “cultura balinese”.

In contesti simili, spesso capita che icone religiose e culturali locali vengono assorbite in prodotti destinati al consumo turistico, creando un’ibridazione culturale che porta con sé gravi effetti collaterali. Ad esempio, Bali deve fare i conti con l’intrusione dei turisti nei templi che spesso compiono atti sacrileghi sulle icone di questi luoghi venerati dai locali.

Turistificazione come mutamento sociale

Anche questi processi di mutamento sociale, politico e urbano balinese sono ovviamente incentivati da politiche di governance che hanno interesse nel lucrare da tutto questo.

Tutto ciò è aggravato dal fatto che l’overtourism ha permesso che le pratiche dei visitatori venissero sempre più accettate come norma dalla popolazione ospitante. Per questo è in corso un dibattito sulle politiche identitarie dell’isola: negli ultimi anni sono stati messi in atto sforzi accompagnati dalla cooperazione dei media e delle organizzazioni comunitarie per preservare le pratiche culturali locali e affermare l’alterità culturale nei confronti delle politiche di turistificazione intraprese dallo Stato indonesiano. La sua posizione unica come isola indù all’interno di un Paese a maggioranza musulmana, infatti, ha solidificato la sua identità affermata come “Ajeg Bali” o “Baliness”.

Tra normalizzazione di una cultura fittizia e pratiche di resistenza alla mercificazione culturale

A causa di tutto questo, spesso gli sforzi compiuti dalle autorità turistiche centrali e dagli stakeholder locali di localizzare e cristallizzare culture ibride in certe aree geografiche è ritenuto inadeguato e quindi contrastato dai residenti, che hanno un’interpretazione diversa della loro identità.

Ad esempio, come risposta alla centralizzazione dell’identità culturale della Thailandia a scopi turistici, le province del Sud dello Stato hanno promosso con sempre più insistenza la propria identità malese musulmana.

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Questa risposta delle minoranze si configura come una vera e propria lotta politica per il potere in mano alle autorità statali ed altri importanti stakeholder locali. Altro paradigmatico esempio della forma invasiva del fenomeno di turistificazione Thailandese è il profondo senso di ostilità nei confronti dei turisti che pervade le zone più conservatrici del paese, nato in seguito al prolungato contatto dei thailandesi con comportamenti incivili associati al consumo di alcolici e alla vita notturna.

Per questo, in certe zone il numero crescente di viaggiatori e backpacker che si stabiliscono in Thailandia per un periodo prolungato è sempre più visto come un’intrusione culturale.

L’impatto ambientale dell’overtourism

In aree geografiche con equilibri sociali, culturali e ambientali tanto sofisticati l’overtourism ha incentivato una sorta di degradazione delle identità dei popoli locali e di perdita di patrimonio culturale, ma non solo. L’overtourism, infatti, in certe zone ha provocato un forte deterioramento del paesaggio e delle spiagge, mettendo sotto grandissimo sforzo le infrastrutture presenti e spingendo i residenti fuori dal mercato immobiliare, a causa dell’aumento dei costi della vita. Spesso, infatti, le destinazioni chiave per il turismo non sono munite delle strutture e delle infrastrutture che servono per gestire l’impatto ambientale e sociale generato.

Le conseguenze dirette di tutto questo sono la sempre più complicata gestione delle discariche, la congestione del traffico in molte zone, e l’elevatissimo aumento dell’inquinamento di certe aree. Si stima che l’isola di Bali, luogo che a lungo ha goduto della reputazione di essere una meta paradisiaca dove il paesaggio è verde e rigoglioso, con i suoi terrazzamenti di riso e le spiagge cristalline, da sola produca circa 5.000 metri cubi di rifiuti al giorno, e che con cinque discariche sull’isola, solo il 25% circa dei rifiuti venga raccolto attraverso canali ufficiali.

Politiche per una buona turistificazione

Se le politiche proseguiranno su questa strada, Bali, così come tutte le più grandi mete turistiche dei paradisi orientali che tanto ci attraggono, rischieranno a breve di diventare delle aree tanto mercificate da trasformarsi in una disneyland per turisti più abbienti, invivibili e inquinate al di fuori dalle zone soggette a turistificazione.

Seppur questa situazione, come abbiamo visto, non dipende interamente ed esclusivamente dalla responsabilità del singolo turista, essendo parte di una strategia politica locale più ampia, aprire gli occhi oggi “sull’altro lato di quel paradiso” che ci viene sponsorizzato dai social media e dai grandi tour operator, praticando un turismo più sostenibile e lontano dai villaggi turistici costruiti ad hoc, potrebbe aiutare a ridurre l’impatto ambientale e sociale che inevitabilmente provochiamo in quanto turisti, per salvaguardare le sorti degli abitanti e dell’ecosistema di questi luoghi.

Mayla Bottaro

Riferimenti

https://www.researchgate.net/publication/342654227_Contextualizing_the_issue_of_touristification_in_Asia

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