Gli indicatori (inteso: “sociali”; “valutativi”; “di impatto”; “di efficacia”; “di benessere”; sostanzialmente: di quel che vi pare) sono un incubo per ricercatori e valutatori. Si narrano più leggende sugli indicatori che sul mostro di Loch Ness, su cosa siano in realtà, se possano veramente essere anche qualitativi, se siano numeri, o tecniche, o misure (e qui io incomincio a sentirmi male…). Adesso, allora, reduce da bellissime chiacchierate su questo tema, vi dico io cosa sono; iniziamo a dire che il termine ‘indicatori’ (meglio sarebbe il concetto, ma poi ci imbrogliamo perché gli indicatori sono concetti, e dire “il concetto di concetto” non è elegante) fa riferimento – per quanto di interesse sociologico – a tre distinti elementi:
- linguistico (indicatore come segno);
- logico (indicatore come operatore);
- operativo (indicatore come strumento).
In senso linguistico l’indicatore [1] è un segno che comunica un concetto; in questa accezione – la più generale – possiamo considerare equivalenti i significati di segno, concetto, indicatore (non è proprio vero, ma non cavillare ci permette di capire, al momento, il quadro generale); in questa accezione “indicatore” è pochissimo utilizzato nelle scienze sociali.
In senso logico l’indicatore [2] è un operatore, nel senso che serve a creare delle relazioni; l’indicatore è un concetto operativizzabile in relazione semantica con un concetto più ampio non operativizzabile; in questa accezione – tipica della ricerca sociale – gli indicatori hanno un rapporto gerarchico subalterno e vincolato ai concetti; fuori da questo ruolo di operatori, gli indicatori non hanno scopo, o senso.
Infine, in senso operativo l’indicatore [3] è uno strumento: l’indicatore è un numero, frutto di conteggio o misurazione, che “avverte” dello stato di una proprietà del concetto; in questa accezione “indicatore” è di uso comune nelle scienze applicate (ed esempio, in valutazione). L’uso prevalente è il controllo.
Questi tre significati sono naturalmente interconnessi e in parte sovrapposti; a ben vedere il primo significato è estremamente generale, il secondo è più specifico (ma niente affatto in contrasto col precedente) e infine il terzo è di livello di generalità molto basso ma sempre all’interno di una logica coerente. Poiché – come ho ampiamente discusso in questa rubrica – l’analisi linguistica è essenziale nella ricerca sociale, assieme a una adeguata riflessione sulle inferenze prodotte, la figura che segue mostra come si collocano questi tre indicatori rispetto all’analisi linguistica e alle tre principali inferenze.
Nel significato [1] (l’indicatore come segno) è indispensabile trattare il tema dei concetti (gli indicatori, come detto, sono concetti) e di come questi nascano nella nostra mente. A questo tema dedicherò un post futuro.
Nel significato [2] (l’indicatore come operatore) abbiamo già dedicato una puntata al paradigma lazarsfeldiano, che è il modo razional-deduttivo per produrli.
Per il significato [3] (l’indicatore come strumento) possiamo subito dire che l’interesse prevalente riguarda il monitoraggio e la valutazione, dove spesso si presenta il bisogno di controllare se le realizzazioni (cioè le attività previste dal progetto) sono state implementate nei tempi, coi costi e con la sostanza previste. In questo senso solitamente gli indicatori sono dei valori (frutto di misurazioni o conteggi), quali:
- numero di partecipanti ai corsi (o, meglio: partecipanti effettivi sui previsti);
- chilometri di ferrovia realizzati (su quelli previsti);
- tempi di realizzazione dell’azione X (e quindi scostamento sui tempi progettuali).
Questi elementi consentono quindi, al management, di controllare i costi, lo stato di avanzamento, ed eventuali scostamenti sui quali eventualmente indagare.
Claudio Bezzi