Se si volge lo sguardo agli eventi storici che hanno caratterizzato l’urbanizzazione, si evince come questa abbia svolto un ruolo cruciale nell’assorbimento dell’eccedenza di capitale. La sua azione si è sviluppata su una scala geografica sempre più ampia, ma a un grande prezzo; si pensi ai processi di distruzione creativa che hanno espropriato alle masse urbane qualunque diritto alla città (Harvey, 2012). Questo meccanismo sfocia periodicamente in rivolte, come quella degli espropriati a Parigi nel 1871 o i movimenti sociali urbani del 1968 da Parigi a Bangkok, Città del Messico e Chicago. La risposta politica in analogia con le trasformazioni del sistema fiscale, oggi non potrà essere complessa, in quanto il processo urbano ha dimensioni globali ed è segnato da una serie di crepe, insicurezze e sviluppi geografici diseguali. Oggi vediamo il diritto alla città cadere nelle mani dei privati, dunque questo diritto oggi è confinato nelle mani dell’élite politica ed economica che si trova nella posizione di poter modellare la città in base ai propri bisogni e desideri. Questo diritto non nasce da qualche moda o capriccio intellettuale, bensì dalle strade e dai quartieri, come grida di aiuto e di sostegno da parte di popoli oppressi un tempo disperati.
La disuguaglianza nelle grandi città

I privati e i loro interessi oggi costituiscono gli attori che operano nelle città e nell’imposizione dei modelli urbani, di fatto grandi multinazionali e corporation che operano nel mercato finanziario, tendono a massimizzare il proprio profitto e misurare tutto in performance. Recenti ricerche evidenziano come vi siano aumenti rilevanti della disuguaglianza sotto il profilo socio-economico e della fruizione dello spazio all’interno delle principali città del mondo sviluppato. Per la sociologa Saskia Sassen questo risultato potrebbe essere interpretato semplicemente come un fenomeno a sé, sconnesso da qualunque altro fattore; oppure si potrebbe interpretare come la conseguenza di un processo di ristrutturazione economica che vede emergere nuove forme sociali. “La crescita di un’economia informale nelle grandi città dei paesi più sviluppati; la nobilitazione, dovuta all’alto reddito, del contesto commerciale e residenziale; e il forte aumento di popolazione senza casa nei paesi ricchi” afferma la sociologa olandese naturalizzata statunitense.
Come cambia l’occupazione

Per quanto concerne il lato della domanda, lo sviluppo di una nuova flessibilità che le imprese sono state costrette a creare poiché spinte dalla pressione della concorrenza internazionale, dall’instabilità dei mercati dei beni e dall’indebolirsi del sostegno politico ai programmi del settore pubblico, hanno provocato l’aumento di occupazione a tempo parziale e temporaneo. Sul lato dell’offerta è rilevante la dilagante disoccupazione che per oltre un decennio ha caratterizzato la vita delle grandi città, rafforzando la posizione dei datori di lavoro a discapito della vita dei cittadini. Soprattutto le fasce più deboli hanno risentito di una crescente emarginazione nel mercato del lavoro. Che si tratti di settori della moda, comparto d’abbigliamento, del mondo dei servizi alla persona, attività associate alla produzione di massa o servizi della finanza, tutti si trovano a operare in mercati concorrenziali che sono spesso molto instabili. Secondo la Sassen, la struttura effettiva dei mercati di lavoro urbani è divenuta molto complessa e mutevole, più di quanto possano far ritenere le economie di agglomerazione. La crescita della disoccupazione in molte città dei paesi sviluppati rifletterebbe queste dinamiche in atto.
La questione dell’immigrazione
Altro fenomeno che ha provocato mutamenti nel mercato del lavoro è quello della crescente immigrazione. Gli immigrati tenderebbero a concentrarsi nelle grandi città, provocando così l’espansione dei lavori a bassa remunerazione. All’interno delle città vi è una crescente polarizzazione economica, in cui la crescita economica dei settori dei servizi e dell’economia della città contribuisce a generare disuguaglianza. Vi è una crescita occupazionale nel settore dei servizi all’interno delle città che è in concomitanza con la crescita delle disuguaglianze e ci sarebbe da chiedersi se questi due fenomeni possano avere un qualche legame tra loro; vari aspetti della questione riguardano le economie urbane basate sui servizi.
Sempre meno lavoro
L’urbanista Bernardo Secchi sostiene che la crisi dei primi anni del XXI secolo è destinata probabilmente a durare nel tempo e a incidere pesantemente nelle economie e nella società occidentale; e come nel passato sono destinate a far emergere un’importante questione urbana, di carattere “multidimensionale”. Al centro della questione urbana troviamo le disuguaglianze; da una parte vi sarebbero i ricchi (sempre più ricchi) e lo smantellamento del welfare state, dall’altra il degrado della qualità della vita dei ceti sociali più poveri (sempre più poveri e più numerosi). Questi due schieramenti, per quanto consumino, non esprimeranno mai una domanda sufficiente a garantire la continua crescita dell’economia di tutti i paesi. Si può affermare che nessuna economia sia cresciuta grazie alla sola produzione di beni di lusso, ma probabilmente il progresso tecnico farà in modo che a livello mondiale la produzione richieda sempre meno lavoro.
Luisa Cuccu