Nell’articolo in questione, si cerca di descrivere i processi che costruiscono le identità mafiose, raccogliendo testimonianze di alcuni affiliati. Il fatto, però, che non sia stata possibile un’osservazione partecipante, rende quanto meno problematica la questione. Ne emerge una società parallela a quella ufficiale, fatta di valori, norme, status e ruoli altamente cristallizzati nella realtà, ancorché non legittimati dall’esterno.

Processi di costruzione di identità mafiose

La configurazione della struttura di Cosa nostra è piramidale-gerarchica. Il territorio siciliano è diviso in aree gerarchiche di influenza, in ognuna delle quali le autorità di collegamento (i capi provincia) si riuniscono in un organo collegiale chiamato “regione“. Ogni provincia è presieduta da una Commissione provinciale e quella di Palermo è decisamente la più importante dell’isola. L’organizzazione locale è invece il “mandamento“, presieduta da un’apposita Commissione, in cui un capo-mandamento svolge funzioni normative, di governo e di determinazione dell’indirizzo politico generale dell’organizzazione. Gli organismi di governo sono accentrati, ma la struttura militare è di competenza territoriale. Il reclutamento avviene mediante cooptazione su base ereditaria. L’ingresso ufficiale nell’organizzazione, suggellato da rituali altamente simbolici (come la punciuta del dito), previo accertamento delle qualità, conferisce un nuovo status all’affiliato e impone una nuova gerarchia di valori, differente da quella che vige all’esterno. L’organizzazione, diffusa capillarmente nel territorio, esprime una precisa identità politica, esercitata attraverso la strategia della raccolta del consenso e in quella di indirizzo politico-economico, fino al confronto diretto con gli esponenti dei partiti di governo. È noto, infatti, che Cosa nostra abbia negli anni esercitato una forte influenza nella candidatura e nell’elezione dei personaggi politici.

Attività e silenzio

Una delle principali attività illecite dell’organizzazione è il “pizzo”, che si estrinseca secondo rituali ampiamente consolidati. Il capitale raccolto da quest’attività estorsiva è poi destinato ad altre attività a sostegno degli affiliati e dalle loro famiglie (compreso il pagamento di un regolare “stipendio”), così da incrementare il consenso popolare. D’altro canto, il versamento della tassa da parte dei commercianti implica la sua tacita accettazione del controllo mafioso del territorio. Un altro strumento di controllo è il mantenimento del governo della criminalità comune, che non può operare senza autorizzazione da parte dei capo-clan. Il codice comunicativo di Cosa nostra tende a ridurre al minimo la comunicazione verbale, utilizzando un linguaggio simbolico e allusivo, la cui codifica richiede un’adeguata conoscenza della strategia paralinguistica. La regola del silenzio è la più seguita e vale anche per i capi. Violare il silenzio significa macchiarsi di un crimine gravissimo, che si estende anche ai congiunti e familiari del reo, vittima molto spesso di vendette trasversali.

Doppia morale

All’interno di Cosa nostra non manca un senso profondo di religiosità e morale. La religione, in particolare, è un potente strumento che agisce per liberare gli uomini e, soprattutto, le donne dall’emersione di qualsiasi conflitto, garantendoli dall’insorgenza del senso di colpa. La morale mafiosa presuppone un sistema di regole molto complesso che si confronta con il codice esterno, a volte adattandosi e a volte configgendo con esso. Si parla, a tal proposito, di doppia morale, perché la violazione delle leggi dello Stato non produce alcun senso di colpa, dal momento che le norme più importanti sono legate allo specifico contesto di riferimento. Infine, escluse sistematicamente da qualsiasi attività all’interno dell’organizzazione, le donne hanno cominciato a ritagliarsi uno spazio preciso in Cosa nostra a partire dalla fine degli anni Ottanta, allorché hanno modificato la tradizionale strategia comunicativa basata sul silenzio, uscendo così allo scoperto, sia in qualità di testimoni o collaboratrici, sia partecipando attivamente alle attività criminali, soprattutto caso di arresto del capofamiglia.


Gianni Broggi

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