Da sempre i videoclip musicali intercettano varie esigenze comunicative: espressività dell’artista, una storia che accompagni il brano suonato, una denuncia sociale, la creazione di un tormentone estivo. Questi elementi possono coesistere o esistere di per sè a seconda della funzione e del motivo che spinge i creatori a realizzare il videoclip proprio in quella maniera, con quello stile, seguendo una precisa “scaletta”. La promozione di un brano dunque, non passa semplicemente per la messa in onda in radio, ma necessita, qualora sia un brano iconico e trainante di un nuovo album per esempio, di essere “messo in mostra“.
Come e quando sono nati i videoclip musicali?
Nella storia della musica contemporanea un ruolo cruciale lo hanno avuto i programmi televisivi a cavallo tra gli anni ’70 e ’80 del novecento, che hanno riprodotto i videoclip musicali all’interno di palinsesti ben definiti. Il primo videoclip come lo intendiamo oggi è stato Bohemian Rhapsody, brano che i Queen dovevano promuovere dal vivo nel 1975 nel programma inglese top of the pops. In quell’occasione i Queen non potevano essere presenti nel programma così commissionarono al regista Bruce Gowers un video che rendesse giustizia alla complessità vocale del brano (Grasso, 2017, p. 186). Ne verrà fuori un capolavoro senza tempo.
Di lì in poi le competenze registiche si uniscono a quelle musicali, tanto che nascono canali tv e programmi dedicati proprio ai videoclip: Mtv in America il 1 agosto 1981, In Italia nel 1984 VideoMusic Deejay Television, per citarne alcuni. Questo fenomeno caratterizzerà particolarmente gli anni ’90, con una ricerca di stile ed espressività data dal media visuale, formando una generazione di giovani all’arte e alla musica.
A livello sociologico l’ascesa del videoclip, almeno per tutti gli anni Ottanta, può spiegarsi come tentativo, da parte dell’industria dello spettacolo, di offrire qualcosa di alternativo ai giovani in un momento difficilissimo per la creatività musicale. Da un lato era in atto la crisi ideologica dei grandi raduni alla Woodstock e dall’altro le subentravano le novità tecnologiche digitali per la fruizione della musica. Il CD era in prima fila a soppiantare i vecchi 45 e 33 giri (ivi, p.187).
Videoclip musicali: tra sociologia dell’arte e dei media
Meticciamenti di stili, suoni e culture. Così la generazione cresciuta con i videoclip musicali di Mtv e affini ha maturato una nuova cultura artistica e musicale. Non era ancora l’epoca della personalizzazione dell’esperienza avuta poi con mp3, walkman e successivamente gli smartphone, per cui seguire un programma musicale era vissuto come vero e proprio rituale tutto giovanile. Nella cameretta, da soli o con amici, di cantava a squarciagola, si faceva headbanging, si danzava a ritmo sfrenato, ci si emozionava con melodie e parole dolci. Un qualcosa che i giovani potevano sentire “loro”, che poteva distanziarsi dal classico momento della paleotelevisione dove lo strumento era uno, si vedevano pochi programmi e/o un solo programma tutti insieme, come gruppo famiglia o addirittura come vicinato o condominio.

Tutto era parte di un momento di scoperta del mondo e di sé: nascono i punk, i goth, i metallari e via discorrendo, con la loro moda e il loro linguaggio comunicativo. Ognuno poteva riconoscersi in un gruppo grazie all’appartenenza data dal comune ascolto a apprezzamento per uno stile di musica. Ognuno assumeva su di sé non solo uno stile comunicativo ma si riscontrava un’appartenenza artistica: l’arte, in quanto processo di rottura, si amalgamava con la musica e diveniva concretamente vestito, arredamento, stile di vita.
I video musicali: basi di forme di neo tarantismo?
Proseguendo col ragionamento in atto è possibile ritenere il “rituale del videoclip” – che contemplava la fruizione dello stesso da soli o in compagnia – un qualcosa di simile, dal punto di vista funzionale, alla taranta. Brevemente, la taranta è una pratica musicoterapica tradizionale di tipo “magico-religiosa” un tempo molto comune in Puglia e nelle regioni del sud Italia. Consisteva in un cerimoniale finalizzato alla cura delle persone e delle donne in particolar modo, colpite da fenomeni isterico-compulsivi. Secondo le credenze popolari tali manifestazioni erano attribuibili principalmente al morso di un ragno (taranta) o di una serie di animali (insetti o serpenti) velenosi. Sin da tempi remoti era usanza curare una persona affetta dalla melanconia del tarantismo, mediante l’utilizzo della musica.
Secondo gli studi di Ernesto De Martino, la componente socio-antropologia da tenere a mente è il ruolo della danza sfrenata delle donne usata come momento di evasione dalle frustrazioni quotidiane. Nelle società contadine, in cui il ruolo della donna è marginale, principalmente dedito alla cura della casa e della famiglia, la danza era un momento di riappropriazione del proprio sè, del corpo attraverso movimenti convulsi: l’esigenza di una danza elettrica del corpo rifletteva una stasi e una rigidità del ruolo sociale percepito come apodittico e non negoziabile.
Videoclip musicali ed effervescenza collettiva
In sintesi, l’accostamento appena proposto, fa riferimento a due questioni in particolare: lo sviluppo del sé in funzione dell’io e del gruppo (alter) e la possibilità di evasione dalla realtà. Questa evasione – difatti emotiva nell’hic et nunc – si traduce in quella che Durkheim definisce effervescenza collettiva. L’effervescenza collettiva è la sincronia sperimentata quando si vivono eventi collettivi come per esempio un concerto, un incontro di brainstorming tra colleghi o un evento familiare.
Ma ancor più che la compartecipazione fisica è la musica che, nel caso dei videoclip musicali, sortisce un effetto particolare. Indipendentemente dalle parole, sono in primis la melodia e il ritmo che comunicano con le emozioni, amplificandole in alcuni casi. Ed è su questo punto che il videoclip musicale viene oggi sviluppato: la spettacolarizzazione delle emozioni – nella loro violenza o nella loro dolcezza – è divenuta una componente onnipresente per veicolare un brano musicale.
Oggi con youtube, spotify e simili, il videoclip musicale può essere vissuto in ogni momento, innestandolo in una sequenza – sia di videoclip che emozionale – per personalizzare il proprio momento, che sia di pura evasione o di relax.
Il significato del video di Stuck dei Thirty Seconds To Mars
Proviamo a ragionare sociologicamente insieme con un piccolo esempio/esercizio di decodifica e scomposizione simbolica di un videoclip musicale. La band THIRTY SECONDS TO MARS ha pubblicato il nuovo singolo “STUCK”. Si tratta del primo estratto del nuovo album “It’s The End Of The World But It’s A Beautiful Day” in uscita a settembre 2023. Il singolo è accompagnato dal videoclip musicale diretto dallo stesso Jared Leto, una vera e propria celebrazione della forma umana, del design, dell’alta moda, dell’arte e della danza.
Lo stesso Jared Leto racconta: “grazie a mia madre incredibilmente creativa, io e mio fratello abbiamo sviluppato l’amore per l’arte e la fotografia fin dalla tenera età. Il video di STUCK è una lettera d’amore ad alcuni dei miei fotografi preferiti. Artisti che hanno avuto un impatto molto profondo su di me come Richard Avedon, Irving Penn, Robert Mapplethorpe, Diane Arbus, Herb Ritts e altri.“
Liberi di essere sé stessi
L’artista ha chiarito il retroterra culturale che lo ha aiutato per lo sviluppo del videoclip musicale, ed è riscontrabile subito premendo play. Cosa possiamo leggerci noi? Quello che può essere notato già nei primi momenti del video è la presenza di weird, persone dalle apparenze e movenze strane, non consuete. Una celebrazione dello “strano”, storicamente celato e spettacolarizzato nei freak show, contro “l’oggettivamente bello” perpetuato solitamente nei media.
Nel video Leto sembrerebbe rovesciare questo status rendendo i soggetti weird liberi: Stuck (bloccato in inglese), non è un titolo casuale poiché la libertà – nel vestire, dell’essere, del fare – si traduce subito in movenze e danze scomposte, smorfie, risate inquietanti. Come nella Taranta. Con questo atto artistico – inteso dunque come atto di rottura, critico e riflessivo – i weird assumono su di sé la certezza del proprio corpo, la scompongono e… si sbloccano. Questa loro consapevolezza di essere e di apparire non li relega a indesiderabili, ma li definisce come altro esistente e imitabile. La danza, la musica, divengono messaggio di libertà di essere e definirsi.
Riferimenti
Grasso A., (A cura di), Storia della comunicazione e dello spettacolo in Italia Volume III. I media alla sfida della convergenza (1979-2012), Vita e pensiero, Milano, 2017;

Hr specialist, orientatore e giornalista pubblicista laureato in Sociologia con lode. Redattore capo di Sociologicamente.it.
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