Ogni essere umano, nel corso della propria vita, è ossessionato da un obiettivo preciso: la ricerca della felicità. Le strade che ognuno sceglie di prendere sono infinite ma puntano tutte verso la stessa direzione. Il problema sorge nel momento in cui si realizza che, una volta percorse, molte strade si rivelano errate. Al riguardo si è interrogato Zygmunt Bauman, filosofo e sociologo della post-modernità scomparso lo scorso 9 gennaio, che ha coniato il concetto di “società liquida”, un sistema in continuo cambiamento nel quale è sempre più facile smarrire la propria identità.

L’avvento della globalizzazione

Per millenni, nella storia dell’umanità, i cambiamenti sono stati il risultato di lunghi processi che hanno impiegato centinaia di anni a consolidarsi. Negli ultimi decenni, questi cambiamenti si sono fatti sempre più rapidi e potenti. Oggi esistono decine di professioni che solo alla fine del secolo scorso nessuno, o quasi, poteva immaginare. E nessuno, o quasi, sa prevedere quali saranno le professioni più richieste tra qualche decina di anni. Un altro cambiamento importante è stato quello del sistema economico, che da produttivo si è trasformato in finanziario. In questo modo non esiste alcun legame con il territorio nel quale opera. Il padrone della fabbrica, che nel secolo scorso viveva e lavorava dentro la fabbrica stessa, oggi vive e lavora a miglia di chilometri. Così della fabbrica che possiede conosce solo profitti o perdite. È nata così la globalizzazione, sviluppata su un concetto semplicistico di progresso, che ha messo in luce non poche problematiche. In primo luogo il senso di comunità, che aveva portato alla progettazione e realizzazione dello stato sociale, si è praticamente dissolto. Tutti ridotti a semplici individui, scollegati l’uno dall’altro, costretti a galleggiare in mezzo a un mare in tempesta del quale non sono visibili i confini. Un mare che all’orizzonte non fa intravedere nessuna solida terra sulla quale approdare. Una situazione nella quale ansi e stress sembrano non più controllabili.

Come poter trovare la felicità?

Se negli anni del boom economico un’ipotesi di felicità era promessa dall’inarrestabile acquisto di beni, oggi anche questa illusoria soluzione è miseramente svanita. Si è sempre detto che ogni crisi nasconde un’opportunità, che sia vero anche in questo caso? Sì, secondo Bauman. Proprio grazie alla “liquidità”, all’indeterminazione, alla precarietà nella quale ci si trova immersi è possibile ritrovare il vero significato e le vere basi della felicità. Bisognerà però armarsi di nuove visioni. Prima fra tutte, sostituire competizione con condivisione cooperazione; questo è il cambiamento che potrebbe veramente creare quel progresso che non nasce dall’accumulo di beni ma dalla creazione di sane e costruttive relazioni tra gli esseri umani. La smania del desiderio e il consumismo di massa, secondo Bauman, avevano contribuito a dimenticare questa parola così vitale, felicità. “La felicità è uno stato mentale, corporeo, che sentiamo in modo acuto, ma che è ineffabile. Una sensazione che non è possibile condividere con altri. Ciononostante, la caratteristica principale della felicità è quella di essere un’apertura di possibilità, in quanto dipende dal punto di vista con il quale la esperiamo”, spiegava il sociologo di origini ebraiche.

Accorciare le distanze dalla felicità

Mentre nell’antichità essere felici era un lusso concesso a pochi, in tempi recenti la felicità veniva considerata come un diritto universale. E oggi? “È un dovere. Sentirsi infelici provoca senso di colpa. Dunque, chi è infelice è costretto, suo malgrado, a trovare una giustificazione alla propria condizione esistenziale“, diceva. Parallelamente a questo, Bauman sosteneva che la felicità dovesse essere un obiettivo a cui tendere, cioè il fine quotidiano della nostra esistenza, perché la cosa più sbagliata da fare è “desiderare il desiderio più che la realizzazione di esso“. Gran parte degli intellettuali ha considerato temi quali la felicità troppo disimpegnati per essere trattati. Bauman, al contrario, non ha avuto paura di parlare di quella che è, come si sostiene dall’inizio, l’aspirazione che accomuna l’intera umanità. Spiegando cos’è la felicità nel documentario “La teoria svedese dell’amore”, il teorico della società fluida ha detto che “non è vero che la felicità significhi una vita senza problemi. La vita felice viene dal superamento dei problemi, dal risolvere le difficoltà. Bisogna affrontare le sfide, fare del proprio meglio. Si raggiunge la felicità quando ci si rende conto di riuscire a controllare le sfide poste dal fato, ci si sente persi se aumentano le comodità”. Tanto più si è in grado di combattere, lottare, di fare scelte significative, tanto più si accorcerà la distanza dalla felicità. Una lotta che, tuttavia, non va affrontata in modo solitario.

La trappola dell’indipendenza

Negli ultimi decenni gli individui hanno imparato sempre più a essere indipendenti, facendo di tutto per star bene da soli, per star bene con sé stessi. Ma, secondo Bauman, questa sarebbe la direzione sbagliata. Le persone che sanno essere indipendenti stanno perdendo piano piano la capacità di convivere con gli altri, perché hanno perso l’abilità a socializzare. “Più sei indipendente – dice Bauman ne ‘La Teoria svedese dell’amore’ – meno sei in grado di controllare la tua indipendenza e rimpiazzarla con una piacevole interdipendenza”. D’altra parte è comprensibile: relazionarsi con le persone è terribilmente complicato; per farlo bisogna essere in grado di accettare compromessi, di andare incontro alle esigenze altrui, di avere pazienza. È complicato, certo, ma è dalle relazioni che nasce la felicità, non dall’indipendenza. Secondo Bauman, “alla fine l’indipendenza porta a una vita vuota, priva di senso, e a una completa, assoluta, inimmaginabile noia”.

Emanuela Ferrara

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