Zygmunt Bauman nasce a Poznań, in Polonia, il 19 novembre 1925 da genitori ebrei. Nel 1939, a seguito dell’invasione nazista in Polonia, è costretto a fuggire nella zona di occupazione sovietica dove si arruola in un’unità militare sovietica. Inizia a studiare sociologia all’università di Varsavia dopo la fine della guerra, collaborando con diverse riviste specializzate. Inizialmente fedele al marxismo, Bauman si avvicina successivamente al pensiero di Gramsci e Simmel. Si è guadagnato una fama internazionale grazie ai suoi studi riguardanti la connessione tra la cultura della modernità e il totalitarismo, in particolar modo sul nazismo e l’Olocausto. In particolar modo, egli concentra la sua riflessione sul tema della globalizzazione. Per Bauman la globalizzazione mina alla base la coesione sociale su scala locale, portando alla creazione di una èlite della mobilità in grado di annullare lo spazio, di dare significati allo spazio, e capaci soprattutto di rendere lo spazio significante per se stessi. Questa situazione è definita da Bauman “guerre spaziali”, le quali rischiano di diventare foriere di pericolose conseguenze a causa della disintegrazione delle reti protettive.
Zygmunt Bauman ha focalizzato la sua attenzione sul passaggio dalla modernità alla postmodernità, e le questioni etiche relative. Ha paragonato il concetto di modernità e postmodernità rispettivamente allo stato solido e liquido della società. Mentre nell’età moderna tutto era dato come una solida costruzione, ai nostri giorni, invece ogni aspetto della vita può venir rimodellato artificialmente. Dunque nulla ha contorni nitidi, definiti e fissati una volta per tutte. Ciò non può che influire sulle relazioni umane, divenute ormai precarie in quanto non ci si vuole sentire ingabbiati. Bauman sostiene che l’incertezza che attanaglia la società moderna deriva dalla trasformazione dei suoi protagonisti da produttori a consumatori. L’esclusione sociale elaborata da Bauman non si basa più sull’estraneità al sistema produttivo o sul non poter comprare l’essenziale, ma sul non poter comprare per sentirsi parte della modernità. Secondo Bauman il povero, nella vita liquida, cerca di standardizzarsi agli schemi comuni, ma si sente frustrato se non riesce a sentirsi come gli altri, cioè non sentirsi accettato nel ruolo di consumatore. In tal modo, in una società che vive per il consumo, tutto si trasforma in merce, incluso l’essere umano. Tuttavia è importante rilevare che Bauman, a differenza di altri autori, rifiuta il termine “postmoderno” a favore di “modernità liquida”, proprio per indicare la labilità di qualsiasi costruzione in questa nostra epoca.
L’identità per Zygmunt Bauman
“Tutta la verità è relativa (eccetto quest’affermazione)”
Per Zygmunt Bauman il sentimento principale che affligge l’uomo postmoderno è il disagio. Ma da cosa ha origine questo disagio? Da diversi fattori, in primis dal problema dell’identità. Nel postmoderno, infatti, a differenza dell’epoca moderna – in cui la questione principale era quella di costruire un’identità e stabilizzarla – si rende necessario evitare qualsiasi tipo di fissazione: non a caso, la parola d’ordine postmoderna circa la questione dell’identità è “riciclare”. Nello specifico, Bauman utilizza figure come quella del pellegrino, del turista e del vagabondo per aiutarci a comprendere la questione. Il pellegrino, figura simbolo dell’età moderna, è il ritratto dell’uomo che sta costruendo la sua vita, il suo futuro, la sua identità, conscio del fatto che domani ci sarà un futuro. Tuttavia ora non c’è più posto per il pellegrino: troppo flessibile è divenuta la realtà perché si possa costruire un qualcosa di stabile e duraturo nel tempo. Ecco allora apparire altre figure di rimpiazzo come quella del “flaneur” (il gentiluomo che vaga per le vie cittadine, provando emozioni nell’osservare il paesaggio) ma, soprattutto, quella del vagabondo. Autentico flagello dell’età moderna, nel postmoderno la figura del vagabondo è rivalutata proprio grazie alla sua mancanza di radici e di stabilità, esattamente come si presenta il mondo in cui ora si trova a vivere. Infine abbiamo il turista, che a differenza del vagabondo ha una casa ma si sposta temporaneamente, alla continua e febbrile ricerca di sensazioni e piaceri.
La paura del postmoderno
Da quali fattori è causata la paura postmoderna? Anzitutto, il progresso tecnologico ha attualmente “reso sempre più inutile il lavoro di massa in relazione al volume della produzione”, unitamente ad una progressiva deistituzionalizzazione dei processi produttivi, nel senso che lo Stato non fornisce più i servizi per vincere l’incertezza dell’uomo. Ora l’uomo postmoderno “diventa il sorvegliante e l’insegnante di se stesso” e, mentre nell’età moderna fungeva da approvigionatore di beni, ora la sua principale funzione è quella di cercatore di piaceri e sensazioni. Altra fonte di inquietudine postmoderna è il corpo, coerentemente visto come recettore di sensazioni. Affinché possa assolvere al suo compito principale, è necessario che sia in buona salute: ecco entrare nella vita dell’uomo postmoderno il concetto di fitness, legato ad una maniacale attenzione per le pratiche salutistiche.