Una guerra che arriva da lontano
Agli inizi di febbraio 2022 la Russia di Vladimir Putin, con un lento processo di avvicinamento, ha dapprima riconosciuto due territori ucraini in cui vivono minoranze russofone indipendenti e poi ha invaso il territorio ucraino attaccando militarmente la capitale Kiev e numerosi centri abitati minori. Dopo numerosi giorni in cui l’esercito russo è stato messo in difficoltà da quello ucraino, numericamente inferiore per numero e mezzi, la disputa bellica si è spostata verso le regioni dichiarate indipendenti dal leader sovietico mostrando al mondo tutta la ferocia disumana che può generare un conflitto.
Già dal lontano 1988 il territorio che oggi conosciamo come Ucraina è stato interessato da continui scontri, riorganizzazioni, liberazioni e restaurazioni. Un territorio conteso e ricco di materie prime, parte incidente del granaio del mondo contemporaneo, l’Ucraina è diventata scenario di una disputa complessa, con origini molto lontane e profonde e che riportano l’Europa e gli ex Paesi del blocco sovietico a rivivere un déjà-vu poco piacevole che li riproietta a prima del novembre 1989, quando il muro di Berlino non era ancora caduto e la Madre Russia dominava imponente sull’Europa dell’Est. Lo stesso Fukuyama oggi ammette che la “Fine della storia” è ancora un testo valido, ma la storia non è finita.
Comunicare la guerra: le arene della discussione
Quando ci si interroga su come viene comunicata la guerra oggi in TV non si può prescindere dal rivolgere lo sguardo a tutto l’ampio ventaglio di media che ci circondano e ci inondano ininterrottamente di informazioni.
Come racconta nei suoi saggi Luciano Floridi, professore emerito dell’Università di Oxford, oggi l’individuo vive due realtà relazionali: una nel mondo reale fatte di relazioni fisiche in uno spazio prossemico ben preciso, off line, e una nel mondo virtuale della rete internet fatto di relazioni digitali in uno spazio prossemico ri-spazializzato e infinito, on line. Oggi i confini di queste due realtà sono molto sfumati e i due spazi di relazione si intrecciano in un nuovo spazio complesso che Floridi ribattezza On Life.
Ma non tutti gli individui hanno la possibilità di accedere alla rete e vivere questa nuova realtà comunicativa. Come sottolineano numerosi autori nei loro testi (tra cui Manuel Castells) assistiamo a quella disuguaglianza di accesso alle informazioni che prende il nome di Digital Divide. Alle difficoltà di accesso alla rete si va sommando la difficoltà di elaborazione delle informazioni che la rete internet veicola costantemente 24 ore su 24 attraverso i nostri device. Altre disuguaglianze sociali, altre difficoltà a masticare ed elaborare informazioni.
Comunicare la guerra: il ruolo della tv oggi
La televisione oggi rappresenta ancora il medium a cui viene riconosciuta la capacità di essere un mezzo semplice, alla portata cognitiva di tutti, per raccontare uno spaccato della realtà che non si allontana molto dal nostro mondo vissuto.
Quando i contenuti audiovisivi venivano fruiti solo attraverso il televisore, ci racconta la Relazione Annuale Auditel 2022, il mondo della rilevazione degli ascolti era un mondo semplice. Oggi ai 45 milioni di apparecchi televisivi presenti nelle case degli italiani si aggiungono circa 75 milioni di nuovi schermi connessi. E la fruizione da familiare è diventata individuale, da indoor è diventata in mobilità, da lineare a on demand grazie a circa 60 diverse tipologie di device attraverso i quali si può accedere a contenuti audiovisivi.

La televisione offre storie che vengono consumate da un pubblico che, grazie all’avvento della rete internet e la successiva nascita delle piattaforme social, può esprimersi apertamente su ogni tema che il piccolo schermo veicola nel comodo salotto di casa.
La televisione pubblica e i grandi gruppi televisivi privati propongono nella loro agenda programmi che con diverso taglio raccontano il conflitto ucraino. Il racconto della guerra trova attualmente ampio spazio anche sulle colonne dei quotidiani e la rete scoppia di immagini in diretta dal campo di battaglia. Ci troviamo di fronte a molte storie che si intrecciano sostenendo l’una la narrazione dell’altra.
Il contesto dell’indagine
L’indagine esplorativa e descrittiva è stata condotta tra aprile e maggio 2022 nell’ambito del corso di Teorie e Tecniche della Comunicazione (prof.ssa Mirella Paolillo) del corso di laurea triennale in Culture digitali e della comunicazione del Dipartimento di Scienze Sociali dell’Università degli Studi di Napoli Federico II, sviluppando una riflessione sul racconto della guerra attraverso il mezzo televisivo.
I talk show politici di prima serata rappresentano le arene più idonee da osservare per tentare di comprendere come la TV ci informa e ci fa vivere in diretta la guerra che sta interessando i territori al confine Est dell’Europa.
Cartabianca, programma politico condotto da Bianca Berlinguer in onda il martedì in prima serata su Rai3, PiazzaPulita, programma politico con un forte taglio critico condotto da Corrado Formigli che va in onda su La7 il giovedì nella stessa fascia oraria e Dritto e Rovescio, programma di approfondimento politico condotto da Paolo Del Debbio che va in onda su Rete 4 il giovedì in concorrenza con PiazzaPulita, rappresentano le tre arene mediali oggetto dell’indagine.
La rappresentazione mediatica della guerra nel prodotto mediale televisivo
Tre trasmissioni, una sola storia. Un solo modo di raccontare quello che sta preoccupando gli abitanti dell’Europa e del mondo intero. Uno storytelling molto simile in cui riconoscere un’agenda setting forte, immagini che toccano gli animi, che spingono al massimo le emozioni, due temi dominanti. È questo, in sintesi, quello che emerge da una prima osservazione sui contenuti dei tre talk show.
Cosa spinge reti televisive così diverse a raccontare la storia del conflitto nello stesso modo? Esiste forse un volere superiore che dietro le quinte orchestra la comunicazione del conflitto per veicolare uno spaccato della realtà che il pubblico deve assimilare?
Questi interrogativi riportano alla mente gli studi di George Gerbner sulle teorie della coltivazione. Gerbner sosteneva che gli spettatori assidui di televisione avevano maggiori possibilità di sviluppare punti di vista che riflettessero quelli veicolati dall’offerta mediale. È questo l’obiettivo dell’agenda mediatica della narrazione televisiva?
L’arena delle tre trasmissioni presenta un parterre di opinionisti insolitamente costante. È raro infatti, pandemia a parte, vedere gli stessi volti in tante trasmissioni nello stesso lasso di tempo. Due grandi quesiti accompagnano la riflessione in studio: l’Europa ha messo in campo tutto il suo potere diplomatico per fermare il conflitto? Armare la resistenza ucraina può realmente portare al cessate il fuoco?
Comunicare la guerra: una voce fuori dal coro
Una voce fuori dal coro domina la scena del dibattito in tutte le arene televisive, quella del professor Alessandro Orsini, direttore dell’Osservatorio sulla Sicurezza Internazionale presso l’Università Luiss di Roma, dove insegna Sociologia del terrorismo presso il Dipartimento di Scienze Politiche.
Orsini rappresenta una voce solitaria che si pone a critica delle mancanze diplomatiche dell’Unione Europea e delle scelte inappropriate dei Paesi Nato di armare la resistenza ucraina. Il modus operandi dei conduttori è costante, mostrare un’arena in cui sono tutti schierati contro il professore abbondantemente denigrato dagli editorialisti della carta stampata. Ma il professore non è solo, anche se il racconto televisivo non lo mette in risalto. Un’audience attiva si scatena in rete sottraendosi alla Spirale del silenzio senza paura, scontrandosi anche in modo verbalmente violento contro i suoi oppositori mediatici.
Maggiore informazione non corrisponde ad un pubblico informato
Oggi l’umanità vive immersa in un turbine di informazioni difficili da gestire anche per le menti più colte. Il flusso di informazioni a cui l’uomo attinge per informarsi è vasto e continuo e ricco di imprevisti. Spesso avere a disposizione molte informazioni non vuol dire essere più informati. Alto livello culturale, risorse economiche e capacità di consumo delle informazioni acquisite rappresentano le variabili minime per costruirsi oggi una propria opinione sui temi su cui si interroga la nostra epoca.
In che condizioni versa il giornalismo italiano oggi?
Le sfide dell’informazione oggi continuano a interessare l’onestà di dire il vero. Il giornalismo sta soffrendo oggi delle logiche di mercato che regolano i contenuti veicolati dalla rete perdendo di vista il proprio ruolo di sentinella delle mutazioni che le scelte politiche ed economiche portano nella società.
L’interesse per ciò che avviene sulla scena politica locale e mondiale è un segnale di coinvolgimento e di partecipazione (anche emotiva e psicologica) nelle vicende della vita pubblica e fondamentale è il ruolo svolto dalle fonti di informazione che sono molto cambiate nel tempo. Questo è quello che ci racconta l’ultimo Report Istat 2020 sulla partecipazione alla vita politica degli italiani dai 14 anni in su.
Qual è lo stato dell’opinione pubblica?
La partecipazione politica avviene in modo soprattutto indiretto, cioè informandosi o parlandone (74,8%) e poco per via attiva (8,0%). Tra il 2014 e il 2019 passa dal 18,9% al 23,2% la quota di persone di 14 anni e più che non partecipano alla vita politica. Fra i media predomina la televisione, utilizzata dall’89,2% di chi si informa. Seguono a distanza i quotidiani (33,3%), la radio (32,1%), le riviste settimanali (7,5%) e quelle non settimanali (3,0%). Ma ci si informa anche tramite canali più informali come le discussioni e il confronto con amici, parenti, colleghi di lavoro e conoscenti. Nel 2019, 15 milioni e 800 mila persone di 14 anni e più si informano di politica tramite Internet. L’utilizzo di Internet come canale di informazione politica aumenta al crescere del titolo di studio.
A questo Report Istat 2020 fa eco una ricerca dell’Osservatorio Territoriale Giovani del Dipartimento di Scienze Sociali dell’Università degli Studi di Napoli Federico II: Giovani nell’infosfera (Caputo e Paolillo, Franco Angeli 2022). Questo studio, se pur a carattere locale, è più recente di quello Istat e tiene conto anche delle fondamentali trasformazioni delle pratiche partecipative delle nuove generazioni nella sfera pubblica alla luce delle vicende pandemiche che hanno interessato il mondo. Secondo questa indagine la costruzione dell’opinione pubblica e della conseguente partecipazione alla vita politica da parte delle giovani generazioni avviene attraverso un mix tra canali mediali tradizionali e di nuova generazione legati alla rete. Per molti di questi il mezzo televisivo rimane lo strumento più semplice per informarsi seguito dai canali social Facebook, Instagram e Whatapp.
Autori: Massimo Fedele, Simone Buglione, Anna Ciuccio, Giulio Martucci, Sara Liscio e Roberta Maglione
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Bibliografia
- Bentivegna, S., & Boccia Artieri, G. (2019). Le teorie delle comunicazioni di massa e la sfida digitale. Gius. Laterza & Figli Spa.
- Brancato, S., Chirchiano, E., & Fichera, F. (2018). Il mondo dei media. Sociologia e storia della comunicazione.
- Caliandro, A., & Gandini, A. (2019). I metodi digitali nella ricerca sociale (Vol. 1167). Carocci.
- Caputo, A. & Paolillo, M. (2022). Giovani nell’infosfera: informazione, comunicazione e partecipazione politica in Campania. Franco Angeli.
- Castells, M. (2006). Galassia internet. Feltrinelli Editore.
- Floridi, L. (2017). La quarta rivoluzione: come l’infosfera sta trasformando il mondo. Raffaello Cortina Editore.
- Giaccardi, C. (2012). La comunicazione interculturale nell’era digitale. Il Mulino.