L’intelligenza artificiale è ormai da tempo la nostra fedele compagna di vita quotidiana, in grado di svolgere compiti, risolvere problemi, aiutarci nelle ricerche e molto altro ancora. Ma cosa succederebbe se Siri o Alexa potessero avere un corpo e non più vivere attraverso i device tecnologici? In questo caso si parlerebbe di androidi, replicanti, robot. Nella storia del cinema esistono numerosi film che trattano di questo argomento: ne abbiamo scelti tre, analizzando la relazione macchina-uomo: “Il mondo dei replicanti”, “Blade Runner” e “Matrix. Seppur in Matrix non vi siano androidi, abbiamo ritenuto opportuno parlarne in quanto le macchine dominano l’uomo, un po’ come accade nei giorni nostri con i social network e le varie tecnologie. Andiamo a dare un’occhiata ad un ipotetico futuro toccando i temi di habitus e campo, identità, dialettica servo-padrone e del simulacro con l’aiuto di sociologi e psicologi quali Tajfel, Baudrillard, Bourdieu, ma rimanendo attenti a non fare troppi spoiler per chi non li avesse ancora visti.
Un mondo di replicanti
In un futuro prossimo, gli esseri umani hanno deciso di vivere la propria quotidianità in una condizione di totale alienazione, interagendo con il mondo esterno attraverso copie robotiche di ogni individuo: si tratta di androidi (o surrogati), veri e propri alter ego umanoidi ma nella versione migliorata rispetto agli originali, sia negli aspetti che negli atteggiamenti. La vita passiva degli esseri umani viene sconvolta nel momento in cui dei surrogati vengono uccisi misteriosamente: qui entra in campo un Bruce Willis del tutto ringiovanito che vestirà il ruolo di un poliziotto, il quale deciderà di svolgere le indagini in prima persona, uscendo dallo stato di isolamento. Impossibile non notare le somiglianze con la teoria dell’habitus di Bourdieu: nel film, i replicanti sono proprio come abiti indossati dagli umani.
Bourdieu tra campo e habitus
Per fornire una definizione adeguata bisogna spiegare in breve la teoria del sociologo francese: costruttivista-strutturalista, sostiene che vi siano delle strutture sociali indipendenti dagli individui, ovvero che esistano a priori e che la società stessa fornisce. Esse hanno il potere di influenzare gli individui. Esistono strutture oggettive e soggettive. Una struttura oggettiva è il campo (accademico, religioso, di potere, lavorativo), ovvero l’arena sociale nella quale ognuno di noi gioca il proprio ruolo. Le società complesse, ad esempio, tendono a creare un ampio numero di campi distinti. L’habitus invece è una struttura soggettiva, vale a dire la sfera psicologica costruita dall’individuo con l’insieme delle sue credenze e aspettative. Habitus e campo sono in relazione: l’individuo veste l’abito, utilizzandolo in modi diversi a secondo del tipo di campo al quale si sta rapportando. In questo film, abbiamo un habitus che simultaneamente si trova in due campi differenti: gli esseri umani riescono a proiettare la sfera psicologica nei replicanti riuscendo a vivere in prima persona nella società, al lavoro, in ogni luogo, mentre rimangono in totale isolamento comodamente su poltrone simili a quelle dei dentisti, attaccati ad un computer nella propria abitazione. Pertanto, il tipo di relazione che lega androidi ad essere umani è di tipo assimilativo, in quanto i replicanti sono utilizzati come tramite per vivere giovani e senza malattie il più a lungo possibile. L’androide, infatti, è stato pensato e costruito come estensione del corpo umano e non come essere distinto. Troviamo un rapporto completamente diverso nel film “Blade Runner”, in cui emerge l’evidente differenza tra esseri umani ed androidi. Ma questo lo vedremo nella prossima puntata…
Claudia Leonardi
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Classe ’95, sociologa e studentessa in Media, comunicazione digitale e giornalismo presso la Sapienza. Appassionata di criminologia, psicologia sociale e sociologia, il mio spirito guida è Goffman. Amo la musica punk rock, gli horror psicologici e farei trekking ovunque.