Walter Benjamin, filosofo e critico letterario, poco annoverato tra i sociologi, è stato in realtà un anticipatore nell’analisi e nello studio di fenomeni relativi ai mutamenti della fruizione estetica e al ruolo dei mass media nell’esplorazione della nascente modernità, seguendo un filo logico che arrivando ad oggi, lo vede ancora attuale nell’interpretazione della postmodernità. Nell’ambito delle sue riflessioni, disseminate in una vasta e multiforme produzione letteraria che ha spaziato tra diversi generi e campi, ha forgiato infatti una serie di categorie, tuttora attuali, per comprendere la complessità della società allora emergente, a cavallo tra ‘800 e ‘900, agli albori della nascita dei mezzi di comunicazione di massa. Di grande interesse anche la genesi storico-sociale di questo processo di mutamento, in una visione di ricognizione “archeologica” dei media.

Costellazioni del presente

Per Benjamin risulta di fondamentale importanza non solo la modalità di come questi media organizzano la “percezione” e le sensibilità sensoriali, che troverà poi Marshall McLuhan come epigono, ma anche le loro potenzialità espressive nel rileggere il passato, condensando nel “tempo-ora” l’antico con il moderno non in una logica di sviluppo lineare bensì come costellazioni del presente. In questo senso, i nuovi mezzi, ibridandosi, generano nuovi “svelamenti” della realtà. “Aura” e “choc” sono sicuramente tra le categorie più note di Benjamin sulla teoria dei media, che ha introdotto l’idea per cui il “medium” è tutto ciò che è in grado di agire sulla percezione, analizzando diversi mezzi, dalla fotografia, al cinema, alla radio, al telefono, alla stampa, fino al linguaggio stesso.

La riproducibilità dell’arte

Il concetto di “aura”, già presente nel saggio “Breve storia della fotografia”, è stato poi reso celebre con “L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica”. Il saggio, scritto in più versioni, è stato poi pubblicato nel 1936 dalla “Rivista per la Ricerca sociale”, espressione della Scuola di Francoforte con cui Benjamin collaborò e di cui fu esponente anche se con dei distinguo. Contrariamente all’accezione negativa data dalla Scuola all’industria culturale, Benjamin vedeva nelle possibilità della riproducibilità, offerta dalle nuove tecniche, delle opportunità per la nascente società di massa di avvicinarsi all’arte ed alle sue esperienze estetizzanti. Il medium “tecnico” separa l’opera dal fruitore, secondo le categorie di distanza/lontananza, andando a formare quel concetto di pubblico indistinto.

Tra Simmel e Bauman

Ne “Passagen-Werk” (opera incompiuta sui Passages di Parigi, a cui lavorò tra il 1927 e il 1940, definita da Theodor Adorno il capolavoro di Benjamin), descrive il XIX secolo con la modernità della metropoli quale vera e propria fabbrica sociale dove l’estrazione di valore avviene nelle strade (emblematica, in tal senso, la figura del flâneur che intercetta una linea che dal blasè di Simmel conduce fino alle figure quali, ad esempio, il turista, il pellegrino ed il vagabondo analizzate da Bauman ne “La società dell’incertezza”). La città, quale miniatura della società, è una fabbrica produttrice di fantasmagoria attraverso il mondo delle merci, facendo del mercato un cosmo e creando “mitologia” che è la cifra arcaica della modernità, interpretata appunto come mito. Il labirinto, metafora della metropoli, dove il minotauro è il cittadino mezzo uomo e mezzo merce, richiama lo stesso smarrimento dell’individuo nell’attuale società liquida della postmodernità.

Il valore estetico della merce

Nel solco del pensiero di Simmel, che individua, fra ‘800 e ‘900 la metropoli come un modello in miniatura della civilizzazione occidentale, tra le categorie forgiate da Benjamin c’è sicuramente quella della “fantasmagoria”. Già utilizzata da Marx nel “Capitale“, per descrivere la mercificazione dei rapporti in termini di categorie economiche, al valore d’uso e a quello di scambio, Benjamin individua nelle merci un valore principalmente estetico, che riguarda il rapido fluire delle immagini che permeano la vita contemporanea. Un fecondo filone che conduce al mondo degli oggetti di Baudrillard, ed ai suoi concetti di simulacro e simulazione, fino all’etica del loisir di Morin, che vede con l’emergere del consumo il sorgere di nuove forme di conoscenza e sensibilità e la nascita di una “cultura estetica e profana che produce mitologia”.

Walter Iolandi

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